pizzaUn abisso da colmare, per non far scomparire la produzione di grano tenero in provincia di Siena. L’allarme arriva dalla Cia di Siena, impegnata quotidianamente per tutelare le produzioni agricole senesi e per garantire un valore aggiunto al prodotto finale ed un giusto reddito alle aziende agricole.

La filiera del pane – Un quintale di grano tenero, dopo un anno di lavoro da parte dell’agricoltore, viene portato al mulino – dall’agricoltore stesso – e venduto per un prezzo di 14 euro. Quel quintale di grano viene così trasformato in farina 00 (zero zero) dal mulino che lo rivende a 67 euro. Fra l’altro il mulino, dopo la molenda, vende anche la crusca, in altri canali di vendita, a 18 euro (per ogni quintale) per un incasso complessivo di 61 euro. Il passaggio successivo è fra il mulino e il panificio: la farina 00 viene venduta a 67 euro e con il pane equivalente pari a 110 kg, il ricavato del panificio è di 210 euro (da cui detrarre i costi di acqua, sale e lievito madre).

Tutti contenti? «Neanche per sogno – tuona Luca Marcucci, presidente Cia Siena – l’unico che non ci guadagna in questo percorso è soltanto l’agricoltore. Bisogna invertire questo stato di fatto, altrimenti in tempi brevi il grano tenero, ma non solo, in provincia di Siena sarà completamente scomparso. Non è possibile che il guadagno del panificio sia 15 volte di più (pari al 1400%) e quello del mulino sia di 5 volte di più (pari al 378%) rispetto al lavoro dell’agricoltore. E’ necessario ed urgente che gli agricoltori – aggiunge – si riapproprino della filiera, dall’inizio alla fine. Gli agricoltori devono avere il mulino e i forni, aprire e chiudere la filiera, per creare valore aggiunto e garantire al consumatore un prodotto del territorio, di qualità ed ad un prezzo equo».

Cara pizza Ancora più ampia è la forbice se prendiamo lo stesso quintale di grano tenero per farci la pizza. In una panificio 1 kg di pizza (non farcita) costa 12 euro, e del costo totale degli ingredienti il 30% è dato dalla farina (in ogni quintale di pizza vanno 30 kg di farina 00). Per ogni quintale di pizza venduta, il panificio incassa 1.200 euro di cui 360 dati dalla materia prima (farina di grano tenero), ma all’agricoltore vanno comunque i 14 euro iniziali (pari al 3,8%).

«E’ necessario che venga riconosciuto il valore dei nostri prodotti italiani – conclude il direttore Cia Siena Roberto Bartolini -; invece su molti prodotti si usa il nome italiano e toscano anche se il prodotto proviene da ogni parte del mondo, perché basta che sia lavorato in Italia, e questo è inammissibile. Bisogna valorizzare il made in Italy con la qualità delle produzioni, le specificità, le caratteristiche e anche la stagionalità che ogni anno può condizionare il risultato finale. Così da garantire il valore aggiunto alle nostre imprese, qualità e sicurezza alimentare ai consumatori».

Articolo precedente“Varie ed eventuali”, ritratti della città, di donne e di libri si svelano a San Gimignano dal 7 al 28 maggio
Articolo successivoRuby ter “spacchettato”. Processo a Berlusconi diviso in sette Tribunali, c’è anche quello di Siena