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Tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000 la Toscana ha spopolato con i suoi comici: Pieraccioni, Panariello, Ceccherini… E in qualche modo Firenze è assurta al ruolo di capitale italiana dello humor. Le risate avevano sempre la “c” aspirata, in tv come al cinema. Chi avrebbe mai pensato che sarebbe stato il preludio a ben altro protagonismo, e questa volta di quelli seri? Il protagonismo nella politica e nelle istituzioni italiane.

Un Presidente del Consiglio, e segretario del primo partito italiano, fiorentino o giù di lì; il Patto dei Patti, quello tra Renzi e Berlusconi per le riforme costituzionali, gestito e garantito a destra dal fiorentino (anche lui “o giù di lì”) di Forza Italia; e poi i tanti incarichi e poltrone scaturiti dal “Giglio magico” per le genti fiorentine. Insomma, i fiorentini si vedono e si sentono come non mai in giro per lo stivale.

E così, come “Messere Aprile” alle Cascine, Firenze e la Toscana hanno “rubato”, e più che altro occupato, il cuore della politica italiana. Ma se nel contesto nazionale il dominio fiorentino è anche questione simbolica, di immagine, di percezione, dentro la Toscana è, invece, tutto “ciccia”, tutto sostanza: potere politico, economico, potere reale. Senza tanti fronzoli.

A partire dal processo di modernizzazione e infrastrutturazione che sta passando a Firenze per la tranvia, per l’attraversamento TAV e per la costruzione della nuova pista dell’aeroporto di Peretola (che si farà, alla faccia del razionalizzare e dei pisani, a 80 km da un altro aeroporto internazionale già esistente): un fiume di denaro che, nei prossimi anni, percorrerà la città gigliata. Per passare poi alla nascita della città metropolitana di Firenze, ente nato sulle macerie delle Province, rimaste vuote e affamate dopo che lo Stato le ha rese ingovernabili e ha tagliato loro le gambe riducendo i trasferimenti. Tra la Regione e i Comuni, rimasti in ordine sparso, non ci sarà piú niente se non, appunto, la città di Firenze. Nessun ente intermedio a rappresentare le istanze dei territori e dei Comuni, a fare massa critica rispetto al potere centrale, a riequilibrare e mitigare l’interventismo regionale.

Senza contare che sta per essere confermato alla guida della Regione il “centralizzatore” Enrico Rossi, la cui parola d’ordine è “più grande è meglio è, più al centro sta meglio sta”. Con Rossi al secondo mandato si innescherà un nuovo poderoso processo di spostamento di risorse economiche e organizzative dalla periferia verso il centro.

Nei servizi pubblici con la regionalizzazione del sistema dei rifiuti, del sistema idrico integrato e del trasporto pubblico; nel servizio sanitario con la riduzione a tre delle ASL toscane; nell’assetto delle autonomie locali con la Provincia ridotta a compilare scartoffie, e i piccoli comuni richiamati dalle sirene dei fondi regionali a cancellarsi dentro le fusioni; nella gestione del territorio con il dirigismo regionale che dagli uffici di Novoli tutto vorrà governare (già, perché la politica legifera, ma il governo del territorio sarà di fatto in mano ai dirigenti regionali). Anche l’Anci Toscana, d’altronde, dopo gli ultimi passaggi elettorali interni, è ormai dominata dai fiorentini.

Insomma, il pallino, anzi il pallino con tutte le bocce, sono sempre più in mano a Firenze e all’ente Regione, che sempre a Firenze sta e da quella prospettiva ragiona. Tutto si controllerà dalla capitale toscana. Beh, si dirà, ma nelle province faranno fuoco e fiamme per difendere gli interessi dei propri cittadini. Perché qui si tratta di una vera e propria lotta per non retrocedere in serie B, di quelle che si conducono fino all’ultima stilla di sangue politico. Qui si tratta di evitare che diventino marginali interi territori e che coloro che vi abitano vengano relegati ad avere un diritto di accesso ai servizi pubblici di second’ordine rispetto ad altri toscani, o a poter contare su opportunità lavorative scarse e intercettabili solo spostandosi verso la città.

Qui si tratta di difendere l’uguaglianza tra cittadini messa in discussione da processi riorganizzativi  che, guardando solo ai numeri, siano quelli dei conti o quelli della popolazione, rischiano di depauperare letteralmente le nostre province a bassa densità demografica, destinate a diventare sempre più marginali.

Vedrai che casino faranno quelli di Siena e provincia, quelli son ghibellini, ne hanno già date di santa ragione a quei guelfi di Firenze. E soprattutto ora che, dopo aver perso la Fondazione Mps sono anche più vulnerabili, vedrai come reagiscono. D’altronde quando si è in pericolo schizza l’adrenalina, si mostrano i denti, si ringhia, s’azzanna per difendere se stessi e i propri cari. E invece … il silenzio assoluto.

Il pericolo pare non essere avvertito quasi da nessuno, o perlomeno nessuno lo palesa; salvo ogni tanto accennarne timidamente, e possibilmente in privato, con la voce resa flebile dalla sabbia dove sembrano stare ben sotterrate le teste della politica senese. Salvo eccezioni minoritarie, sembra che vada “tutto bene madama la marchesa”. L’Anci ai fiorentini? Visto e approvato. Rossi ri-Presidente? Visto e approvato, senza nemmeno passare per gli scrutini di fine anno (a monte della sua ricandidatura non c’è nessun voto, di nessun organismo Pd, ma solo primarie mancate). Le tre ASL in toscana? Visto e approvato (o meglio “non disapprovato”, dato che un recente documento del Pd a livello provinciale recita “non siamo contrari”). La regionalizzazione dei servizi pubblici? Visto e approvato, è la globalizzazione bellezza. Tutto alla città Metropolitana? Visto e approvato, anche questo.

Una coltre di rassegnazione sembra calata su Siena e la sua politica. O di fatalismo, chissà. Che sia inconsapevolezza, invece, vogliamo non crederlo. Perché se qualcuno pensasse davvero di star dormendo il sonno dei giusti, rischierebbe presto di scoprire come fosse invece quello dei gonzi.

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