Il Sangiovese è uno dei vitigni più diffusi in Italia e all’estero, ma le sue origini sono ancora in parte misteriose e discusse. Per tale motivo, ogni documento antico che getta luce su tale argomento è accolto con grande interesse; come la scoperta nell’Archivio di Stato di Faenza di un atto notarile del 1672 che attesta già all’epoca la coltivazione del Sangiovese nel territorio di Casola Valsenio, nell’Appennino faentino in Romagna. È il primo documento noto che riporta il termine Sangiovese, preceduto solo da un paio di citazioni, ma con denominazioni diverse. Partendo dal documento, Beppe Sangiorgi, storico e giornalista, ha sviluppato una ricerca sull’origine del nome, sulla culla del Sangiovese e sulle sue successive vicende consultando circa 200 testi italiani e stranieri editi dal 1600 a oggi. Ricerca pubblicata, per iniziativa del Consorzio Vini di Romagna e con prefazione dello storico dell’alimentazione Massimo Montanari, nel libro Sangiovese vino di Romagna – Storia e tipicità di un famoso vitigno e di un grande vino. Volume che nella seconda parte, curata da Giordano Zinzani, enologo e presidente del Consorzio Vini di Romagna, descrive il terroir romagnolo e le varie tipologie e denominazioni nelle quali si articola l’attuale produzione viticola ed enologica del Sangiovese in Romagna.

Incrociando la constatazione che il Sangiovese è inizialmente presente nell’area imolese-faentina con la convinzione di gran parte degli studiosi che individuano l’origine del Sangiovese nella parte montana dell’Appennino Tosco-Romagnolo, Sangiorgi ha ipotizzato che la culla di tale vitigno, figlio di un vitigno toscano e di un vitigno meridionale emigrato in Toscana, sia stata nella prima metà del secondo millennio la parte alta delle vallate dei fiumi Lamone, Senio e Santerno. E precisamente i monasteri vallombrosani di Crespino e Santa Reparata (Marradi), Susinana (Palazzuolo sul Senio) e Moscheta (Firenzuola), tre comuni amministrati da Firenze ma posti nel versante romagnolo dell’Appennino.
Dai gioghi dell’Appennino il vitigno è sceso, da una parte lungo le vallate faentine e imolesi prendendo il nome dialettale di sanzuves (contrazione di sangue dei gioghi) e poi sanzvés, italianizzato in sangiovese, nome che ha sempre mantenuto diffondendosi nel ‘700 nel resto della Romagna. Dall’altra parte, è sceso in Toscana assumendo i nomi di Sangiogheto, Sangioeto, San Zoveto e Sangioveto e solo dalla metà dell’800 di Sangiovese. Il vitigno non solo ha assunto due nomi differenti di qua e di là dell’Appennino, ma ha sviluppato nei secoli anche caratteri diversi stante la sua grande sensibilità al terroir. A partire dalla metà dell’800 il Sangiovese e il Sangioveto si sono poi diffusi nelle altre regioni dell’Italia centrale e, verso la fine del secolo, la denominazione romagnola “Sangiovese” si è via via affermata, anche in Toscana. E non solo dal punto di vista linguistico, ma anche materiale, attraverso il reimpianto dei vigneti distrutti dalla fillossera.

L’identità romagnola del Sangiovese e il suo stretto legame con il territorio vengono rimarcate da Giordano Zinzani attraverso la descrizione del terroir e la presentazione delle varie tipologie e denominazioni nelle quali si articola l’attuale produzione viticola ed enologica di tale vitigno in Romagna. Cominciando dal “Romagna DOC Sangiovese” e proseguendo con il Sangiovese dei “Colli” romagnoli e il Sangiovese IGT.

“Sangiovese vino di Romagna”, Storia e tipicità di un famoso vitigno e di un grande vino
di Beppe Sangiorgi e Giordano Zinzani.
Valfrido Edizioni (Faenza) in collaborazione con Consorzio Vini di Romagna.
Pag.110. €10,00.

Giuseppe (Beppe) Sangiorgi, è nato e vive a Casola Valsenio (RA). Laureato in Scienze Politiche a indirizzo storico ha lavorato nella Pubblica Amministrazione ed è giornalista, scrittore e storico del mondo rurale romagnolo. Ha pubblicato su quotidiani, settimanali e riviste circa quattromila articoli inerenti alla storia, al paesaggio, alle tradizioni e al patrimonio enogastronomico della Romagna, temi sui quali tiene conferenze e lezioni, oltre che averne trattato in una decina di pubblicazioni. Inoltre, ha curato il soggetto, i testi e la regia di sei video documentari sulla Romagna vista attraverso i suoi vini, sulle pievi, rocche e torri della provincia di Ravenna e sui paesi della valle del Senio, con il quale ha vinto il Premio Guidarello per il Giornalismo d’Autore.

Giordano Zinzani,è nato e vive a Faenza. Enologo diplomato a Conegliano Veneto, dal 1975 ha iniziato la professione come tecnico. Dal 1984 lavora alla CAVIRO S.c.a., dove attualmente ricopre l’incarico di direttore Enologia e Servizi, Sviluppo Soci. Relatore in diversi convegni e seminari sia in Italia sia all’estero, ha pubblicato articoli di carattere tecnico, riguardanti aspetti innovativi della tecnologia enologica. Ha collaborato in molte ricerche e sperimentazioni effettuate in Romagna e in particolare con l’Università di Bologna. Dal 1990 al 2013 è stato presidente della sezione Romagna Assoenologi e consigliere nazionale. Per molti anni consigliere dell’Union Internationale des Oenologues. Nel 2008 ha assunto l’incarico di presidente del Consorzio Vini di Romagna del quale è stato a lungo consigliere. Ha fatto parte del gruppo di lavoro “Pratiche enologiche” alla Commissione Europea D.G. Agri a Bruxelles. È corrispondente dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino e dal 2008 vice-presidente dell’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna e componente del C.d.A. di Federdoc.

Tratto da “Sangiovese vino di Romagna”, PREFAZIONE di Massimo Montanari* – È sempre difficile fare la storia di un vitigno o di un vino, rintracciarne le origini, localizzarle in un territorio. Perché vini e vitigni sono figli della geografia ma soprattutto della storia: l’azione dell’uomo sull’ambiente, nel corso dei secoli, sposta e modifica le coordinate naturali, confondendo le tracce fino a renderle talvolta irriconoscibili. Tutto ciò che ha a che fare con la cultura – e di cultura stiamo parlando – è per definizione mobile e cangiante, perché vivo. Gli esiti di queste storie, le identità che esse preparano e producono sono realtà che si ridefiniscono di continuo, sicché cercarne le radici, andare a fondo nella ricerca delle ‘origini’ comporta avventure imprevedibili, che possono portarci ovunque. Quando, poi, l’oggetto di studio non è un vitigno o un vino qualsiasi, ma uno dei più fortunati e di maggiore successo, come è il caso del Sangiovese, la sfida parrebbe impossibile. Non così la pensano gli autori di questa ricerca, che propongono una sintesi ragionata di tutto ciò che sappiamo sulla storia del Sangiovese, integrando e reinterpretando le conoscenze acquisite sulla base di nuovi dati e di nuove intuizioni – a cominciare dall’idea che la rete di monasteri stabilitasi nel Medioevo sull’Appennino tosco-romagnolo possa essere stato il luogo di incubazione di questa storia straordinaria, che in seguito avrebbe preso direzioni diverse, nel senso del metodo e del gusto oltre che della geografia. Importante è anche l’aver retrodatato al XVII secolo il riferimento a un ‘Sangiovese’ romagnolo che non è solo vino ma vitigno. Ciò conferma la continuità di una cultura, tipicamente italiana, che fin dal Medioevo privilegiò il vitigno come elemento distintivo della produzione enologica, mentre altrove – per esempio in Francia – si metteva l’accento soprattutto sulla proprietà e sul terroir. Questa ricerca sul vino principe dell’enologia romagnola si fa apprezzare per la chiarezza con cui cerca di districare le linee portanti della storia del Sangiovese. Ovviamente, nessuna ricerca può mai dirsi definitiva e la sorte migliore di qualsiasi studio è di essere superato da altri, che ne metteranno a frutto i risultati. È l’augurio migliore da fare a questo lavoro, che diventerà un punto di riferimento obbligato per chiunque vorrà tornare sull’argomento. Il senso critico che traspare da queste pagine, la serietà con cui il tema è stato affrontato, il riferimento sistematico alle fonti e agli studi utilizzati sono marchi di qualità come quelli che sempre più spesso accompagnano il rosso sangiovese.

*Docente di Storia medievale e di Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna.
Direttore del Master europeo “Storia e cultura dell’alimentazione”.

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