Possiamo girarla e rigirarla quanto ci pare la questione dei migranti, ma alla fine la differenza vera la fa il ritenere o meno che essi siano portatori di una qualche forma di diritto ad essere accolti nel nostro Paese.

C’è uno spartiacque che divide chi pensa che esista un loro diritto inalienabile ad essere accolti, e che in quanto preesistente a qualsiasi ordinamento quel diritto non debba essere concesso bensì solo riconosciuto; e chi invece pensa che i migranti vadano considerati degli ospiti, e in quanto tali da ospitare se e quando gli ospitanti lo ritengano opportuno.

Vuoi poi che quel diritto lo si faccia derivare in termini assoluti da una visione cosmopolita del mondo, per la quale la Terra è di tutti e tutti hanno il diritto di vivere dove meglio credono, oppure in maniera più relativa dall’idea che chi scappa dalla miseria o dalla guerra possa pretendere di essere accolto.

Si può assumere l’origine che si vuole, ma la differenza passa sempre dal ritenere se quel diritto, sotto il profilo etico, esiste prima ancora della mia volontà di concederlo, o se ne è al contrario dipendente e conseguente.

Perché se io penso che il migrante sia un ospite, al quale sono io ad attribuire – se lo ritengo utile, giusto od opportuno – il diritto ad entrare a casa mia, posso poi sentirmi legittimato ad anteporre tutti i miei bisogni ed interessi rispetto alla mia eventuale disponibilità ad ospitare.

Perché, ancora, se io penso che il migrante sia un ospite a cui io, benevolmente, ho concesso il diritto di stare qui, è probabile che poi ne tragga la conclusione che egli abbia più doveri, finanche morali, di un italiano. Di qui, ad esempio, l’idea piuttosto diffusa che un reato compiuto da un immigrato sia più grave di un reato compiuto da un italiano.

Se invece penso che il migrante abbia un suo diritto, comunque esso sia declinato, a stare nel mio Paese, e che quel diritto non origini dal mio libero arbitrio di “padrone di casa” bensì dal suo appartenere al genere umano, allora non posso che trarne la conseguenza che a fronte di quel suo diritto esistano miei doveri, sia individuali che in quanto appartenente ad una comunità, a cui non posso sottrarmi, mi piaccia o meno, come accade di fronte ai diritti di qualsiasi italiano.

Diventa persino superfluo, se la poniamo in questo modo, far presente che ciò prescinde dal fatto se l’immigrato sia simpatico, educato, riconoscente o meno; alla stregua di come è ininfluente se un italiano che riceve un sussidio o un qualsiasi aiuto pubblico sia simpatico, educato, riconoscente o meno.

Tutto ciò non può certo significare, nemmeno per chi riconosce in pieno i diritti dei migranti, che non esistono altri interessi e diritti da salvaguardare, e che dunque l’accoglienza possa essere totale e indiscriminata.

Ma tra il considerare la limitazione dei flussi migratori come una necessità, anche dolorosa, o piuttosto come un valore, ce ne passa.

Perché una cosa è dire che non c’è la possibilità di accogliere tutti i migranti, cioè di aiutare tutti coloro che hanno bisogno, in quanto sarebbe materialmente impossibile farlo; altra che non esiste alcun dovere morale universale di farlo, nemmeno se ce ne fosse la possibilità, ma solo una libera scelta subordinata di volta in volta ad una valutazione contingente degli interessi  e delle sensibilità in gioco.

Insomma il valore più o meno negativo di quel “aiutiamoli a casa loro” dipende anche dalla premessa: un conto è se, pur continuando a suonare la frase piuttosto pretestuosa, la premessa ad essa consiste in un “perché è impossibile aiutarli tutti qui”; diventa tutt’altra faccenda se la premessa è “perché non abbiamo alcun dovere morale” di aiutarli qui.

Due posizioni culturali, quelle fin qui descritte, tanto distanti tra loro quanto diverse finiscono per essere le soluzioni.

Concludo osservando che forse un tempo nessun partito di sinistra avrebbe avuto dubbi su quale delle due posizioni gli appartenesse (quelli di destra nemmeno oggi). Ma si sa i tempi, i partiti e soprattutto le sinistre sono cambiati.

A mo’ di post scriptum aggiungerei che infine c’è poi il dovere di salvare vite umane quando sono in pericolo, e in pericolo lo si è sempre quando si scappa da una guerra o si è ammassati su un’imbarcazione di fortuna in mezzo al mare. Su questo non c’è “codice di condotta” che tenga.

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