Quella sulla geotermia non deve né dovrà essere una battaglia esclusivamente politica, un’onda lunga da cavalcare, un grimaldello da utilizzare per attaccare strategicamente, da parte di qualcuno, il governo per fini politici, strumentali e non per interessi squisitamente territoriali; quella sulla geotermia dovrà essere, se vorrà nutrire qualche speranza di successo, una sollevazione di territorio, trasversale, di popolo, una levata di scudi da parte dell’opinione pubblica di un determinato contesto territoriale finalizzata a tutelare e preservare una ricchezza propria del territorio stesso, una risorsa donata dalla natura a dei luoghi i quali hanno l’obbligo di difenderla e di difendere il suo sviluppo e la sua valorizzazione.

Nella paventata scelta di depennare gli incentivi alla geotermia convenzionale contenuta nella bozza di decreto FER1 non vi è soltanto mancanza di conoscenza, di approfondimento, di contatto con i territori, vi è, e ancor più colpevolmente, la carenza assoluta di una progettualità a lungo termine, l’assenza di visione su quello che dovrà essere il piano energetico nazionale di un paese sprovvisto di risorse ed importatore netto in un’epoca di cambiamenti climatici ed in un momento dove si pongono, come improcrastinabili, scelte coraggiose e sostanziali in materia di tutela ambientale del pianeta.

Qual è l’alternativa nel lungo periodo alla dismissione della produzione geotermoelettrica e a quel 30% di fabbisogno garantito in Toscana attraverso la geotermia; forse la decrescita o il ritorno al fossile oppure un enorme punto interrogativo. Non è forse vero che in un bilanciamento di interessi ed in un rapporto costi benefici, a parità di condizioni e di necessità, si dovrà necessariamente optare per risorse che garantiscano determinati o equivalenti risultati, rispetto ad altre, ma con strascichi di minor impatto possibili sull’ambiente e sulla salute pubblica. Poiché se vogliamo mantenere un determinato stile di vita e determinate condizioni economiche e sociali o ci approcciamo alla materia in maniera empirica oppure rischiamo di fare spicciola demagogia.

E, fino ad oggi, qualcuno, tra coloro i quali si oppongono allo sviluppo geotermico, o tra chi, in queste ore, si appresta a compiere una scelta sostanziale e dagli effetti potenzialmente dirompenti, è forse stato in grado di produrre dati che, scientificamente, si oppongano agli studi compiuti negli anni dagli istituti pubblici e dalla Regione Toscana nonché dai comuni della geotermia, e comprovino le potenziali minacce e la carica nociva di questa risorsa per l’ambiente e per la salute pubblica. Poiché se si assumessero posizioni di tal natura senza il dovuto grado di certezza o soltanto per offrire lo scalpo a qualche gruppo assetato di protagonismo o procuratore di allarmismi, si commetterebbe, forse, un errore storico. E lo si commetterebbe in momenti nei quali ci si è arresi sull’esigenza del TAP e ci si è battuti, con forza, per giungere ad un accordo per la riattivazione dell’ILVA di Taranto.

E’del tutto evidente come lo sfruttamento geotermico debba seguire ed essere ancorato alle migliori tecnologie disponibili sul mercato per tutelare massimamente ambiente e salute pubblica delle popolazioni coinvolte; è allo stesso tempo, essenziale, assecondare le volontà di comunità e territori che liberamente possano decidere di immaginare il proprio futuro ed il proprio sviluppo al di fuori ed al di là della geotermia e della presenza geotermica. Ma, di pari passo, vi sono comunità che scelte di sviluppo le hanno compiute decenni, secoli fa, modellandosi ad una convivenza con lo sfruttamento della risorsa ed imboccando sentieri economico sociali che non ammettono e non prevedono marce indietro. Ed anche questi luoghi, così come gli altri, vanno rispettati ed aiutati a vivere e non a morire.

Un distretto geotermico come quello toscano per numero di addetti, oltre tremila, e per le realtà economiche ed imprenditoriali che sono sorte in virtù delle potenzialità offerte dalla risorsa, e tutte in aree profondamente marginali ed a fallimento di mercato, in altri paesi europei verrebbe tutelato con cura e valorizzato con forza. Poiché se è vera una cosa in tutta questa situazione è la constatazione che troppo poco è stato fatto, anche in raffronto ad altre nazioni, per permettere ad imprese e comunità di sviluppare ancor più agevolmente ed efficacemente tutte le enormi possibilità legate alla geotermia nei più svariati settori. Aree come quelle geotermiche mantengono ancora gap e deficit che debbono porre interrogativi e stimolare progettualità nuove per proiettarle nel futuro.

Quando parlo di distretto geotermico evidentemente non mi riferisco esclusivamente ad Enel, l’unico player che di fatto agisce nel settore; sarebbe estremamente semplicistico e soprattutto fortemente riduttivo. Se da un lato il ruolo di Enel non è trascurabile in questi territori, per occupazione, seppur sostanzialmente e vertiginosamente in calo negli anni, e per ricadute economiche sui territori, dall’altro è ineluttabile constatare come dal suo passaggio nel territorio l’azienda abbia ricevuto molto di più di quanto ha dato imprimendo, in certi contesti, una monocultura produttiva che, di fatto, ha legato a sé ed alle proprie sorti settori economici ma anche comunità con tutte le conseguenze che la mancanza di alternative o di ricerca di alternative possono causare in un contesto economico sociale. E chi ha vissuto l’epopea mineraria in Toscana, per esempio, può comprendere appieno la portata del ragionamento.

E non ci si può neppure esimere dal rilevare l’eccessiva timidezza della Regione in questi anni, ondivaga, incerta sul punto, troppo incline nel considerare le voci dissonanti e senza la dovuta forza per affermare punti fermi. Stabilite, di comune accordo con i territori, le aree non idonee alla coltivazione geotermica, acclarati i numerosi studi scientifici in materia, la politica regionale doveva, con più coraggio, difendere una risorsa preziosa, unica nel panorama nazionale, e ribadire con forza la rinnovabilità della geotermia e la disponibilità a favorirne un suo ulteriore sviluppo pur nel rispetto delle comunità ed attraverso l’ausilio delle migliori tecnologie in campo ambientale ed in materia di salute pubblica. Poiché generare incertezza, di questi tempi ed in un mondo globalizzato ed in preda alla concorrenza spasmodica ed alla gara al ribasso di salari e diritti, di certo non favorisce gli investimenti e lo sviluppo, pane quotidiano per i territori geotermici ma non solo. Speriamo che non sia troppo tardi e che le iniziative legislative regionali in campo trovino attuazione.

Sarebbe serio, infine, che il Ministro Di Maio non legiferasse sul punto prima di non aver fatto visita ai luoghi della geotermia, ad un territorio che non presenta eguali in Italia. Sarebbe serio e sarebbe doveroso, per ascoltare le istituzioni che quei luoghi amministrano e per un obbligo di conoscenza ed approfondimento che dovrebbe tornare in capo a tutti coloro i quali si propongono di decidere per il bene o il male di una collettività.

 

 

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