Matteo RenziEh no, stavolta il Segretario non l’ha azzeccata: prendersela con la “Ditta” evocata da Bersani non è stata per niente una buona idea.

Non voglio dire che nel risultato poco esaltante delle elezioni regionali abbiano influito negativamente i consueti attacchi alle minoranze: per carità, quelli ormai fanno parte dell’arredamento di casa PD e nessuno ci fa più attenzione.

Intendo dire che a Renzi faceva molto, ma molto comodo, lo spirito bersaniano della “Ditta”, e farne carta straccia è stato un bell’errore dettato dalla solita irrequietezza “asfaltatoria”.

Quello spirito che porta l’ex Segretario in Liguria a sostenere la Paita nonostante tutto, e gli elettori di sinistra del PD a votare comunque per “il partito”; bastonati, cornuti e mazziati, ma pur sempre pronti a fare ciò che veniva avvertito come un dovere, o almeno una responsabilità a cui non potersi sottrarre. Ingoiando fiele magari, ma con dignità e compostezza; al limite accompagnando la “X” sul PD con qualche imprecazione soffocata in gola.

Se il voto di appartenenza infatti si è affievolito da un pezzo, quello di fedeltà e sopportazione di molti militanti di sinistra era invece ancora racchiuso in quel concetto di “Ditta” così vituperato dal renzismo, che l’ha scambiato per un’anticaglia da rottamare, mentre in realtà era un salvacondotto per il presente e per il futuro.

Il residuo di un partito che non c’è più e in quanto tale innocuo, a salve, ma utile alla bisogna, e rinunciarci giocandosela tutta e comunque sul «se vi vado bene votatemi, altrimenti mandatemi a casa» è stato un azzardo comunicativo gratuito.

Oggi il voto è sempre più un voto di opinione, labile e mobile, ma dentro la “Ditta” stavano ancora molti di coloro che prima della loro opinione pongono il sentirsi parte di qualcosa di più grande. Qualcosa che presuppone la fedeltà dentro le urne.

Renzi poteva permettersi di gettarsi lancia in resta alla conquista dei voti dell’elettorato di centrodestra perché aveva le spalle coperte, perché gli ultimi riflessi di una tradizione di partito lo proteggevano da perdite consistenti a sinistra. Ciò che conquistava con ardite incursioni a destra, non rischiava di perderlo, se non marginalmente, a sinistra.

Ma quando invece che limitarsi a vincere, si vuole stravincere, si finisce per fare danno.

E soprattutto portano male le furie iconoclastiche, e la “Ditta” era per molti il simbolo, la fotografia in bianco e nero di un mondo politico scomparso cui aggrapparsi per sentire di servire ancora a qualcosa.

Eppure il Segretario quando lanciò la proposta in Assemblea Nazionale (caduta nel vuoto) che tutte le feste del PD tornassero a chiamarsi Festa de l’Unità, sembrava averlo capito che quelli di sinistra hanno il cuore tenero e si accontentano di un po’ di solletico alla nostalgia.

Ma Renzi, si sa, spesso si fa cogliere da incontinenza, ed in preda ad una sorta di “sindrome da sborone” ha voluto umiliare la Ditta, ridicolizzandola. Non ha resistito alla tentazione di voler dimostrare al Paese che la polvere che ricopre la “ditta” non è quella nobile di una pregiata bottiglia d’annata, preziosa quanto la bottiglia stessa, ma solo muffa e incrostazione da spazzare via senza troppe cerimonie.

Cosicché il Bersani che va dalla Paita non è più apparso come un gesto di responsabilità, quanto un atto di sottomissione, o al massimo un cristiano porgere l’altra guancia, con le due guance che però ti bastano al massimo mezza giornata per gli schiaffi che prendi.

In queste regionali qualcosa si è rotto, forse per sempre, perché molti militanti ed elettori del PD hanno preso le parole di Renzi alla lettera e deciso che se la “Ditta” non serviva più, tanto valeva liquidarla, e in qualche caso volgere lo sguardo altrove.

A parte gli esempi “macro” dell’uscita di Civati, del caso Liguria o, guardando alla Toscana, della vittoria da sinistra dell’ex sindaco di Capannori a Viareggio contro il PD. Ma anche a livello “micro” chi di noi non è rimasto a bocca aperta di fronte ad un militante storico, o ad un dirigente locale, ex o attuale, che candidamente ammetteva di non andare a votare?

Il tabù dell’astensione si è rotto anche dove sembrava resistere, e in molti casi si è spezzato, nell’immaginario di sinistra, l’ultimo anello della catena PCI-PDS-DS-PD

Mentre così Renzi trovava meno praterie a destra, un po’ perché la destra timidamente tornava ad organizzarsi, un po’ perché con il ruspante Salvini tornava a fare il suo mestiere, a sinistra qualcosa si inceppava. O se vogliamo vederla da altra prospettiva, qualcosa si disincagliava per muoversi però in direzione opposta al PD.

Il Titanic renziano non è ancora andato a sbattere contro l’iceberg, ma per il momento è fermo in mezzo all’oceano, perché i fuochisti, gli uomini di fatica, stanchi delle continue vessazioni, hanno alla fine deciso di incrociare le braccia.

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