La sceneggiata tra il sindaco di Pisa Michele Conti e il direttore della Scuola Normale Superiore Vincenzo Barone a proposito della istituzione o meno di una piccola Normale-bis a Napoli è stata una brutta faccenda. Che il progetto sia, a quanto pare, naufragato è, a mio parere, un bene. Disseminare per clonazione qua e là – oggi a Napoli, domani a Palermo o chissà dove – altre Scuole o frammenti sperimentali di Scuole nobilitate da un marchio identico a quello pisano crea equivoci spiacevoli e toglie alla Scuola di piazza de’ Cavalieri quell’unicità che anni di storia le hanno conferito.

Le occulte manovre parlamentari hanno evidenziato una scandalosa mancanza di trasparenza. Le contrapposizioni partitiche in temi del genere, sono assurde e da evitare con sdegno. La più feconda prospettiva da coltivare, e già felicemente concretizzata, è, piuttosto, la creazione o il rafforzamento di una rete tra sedi affini per qualità di ricerca e eccellenza di risultati secondo una dinamica federale o cooperante che non annulli le reciproche autonomie, né omologhi vocazioni e pratiche differenziate. E la Normale si è già messa con prudenza su questa strada, federandosi, sulla base di recenti decreti, con la Scuola superiore di studi e perfezionamento Sant’Anna che ha pure sede a Pisa e con l’Istituto Universitario Studi Superiori (Iuss) di Pavia: due organismi che posseggono anch’essi la fisionomia di Istituti universitari a ordinamento speciale, pur conservando ciascuno una garantita autonomia giuridica, scientifica, gestionale e amministrativa. Le sistematiche collaborazioni già in essere sono anch’esse sacrosante.

Ma l’idea coltivata da Barone, era una forzatura bella e buona e avrebbe privato non solo Pisa ma l’Italia di un’officina che ha conquistato suoi caratteri non riproducibili a piacere. La stessa Toscana va fiera di una Scuola che ovunque gode di una stima eccezionale, pari ai suoi meriti. Dire no ad un progetto improvvisato, non discusso con nessuno all’interno del corpo docente, né definito in un quadro di politiche elaborate con il coinvolgimento di enti che hanno tutti i titoli per dire la loro nel rispetto dell’autonomia scientifica e didattica non significa affatto boriosa chiusura o esaltazione retorica di un virtuoso localismo.

Del resto lo statuto vigente offre occasioni – alcune già in essere come ha ricordato ieri Gaspare Polizzi – e apre più di uno spiraglio per circostanziate e avvedute proiezioni della Normale oltre Pisa. All’articolo 3, infatti, si prevede espressamente che la Scuola possa «istituire altri poli scientifici e didattici, rappresentanze in Italia e all’estero, anche in collaborazione con soggetti pubblici e privati». Non è forzando queste linee e moltiplicando la Normale in ossequio a perniciose spinte o a personali intendimenti che si migliorerà il tradizionale radicamento e si incentiverà la diffusione di un modello straordinario, espansosi sino ad occupare gli ambiti proibiti nello schema originario della ricerca applicata.

Nelle stanze della Normale si materializzava – e si materializza – un’Italia che porta in riva d’Arno lingue e culture diverse, sospinte a trovare in un colloquio continuo motivi profondi per riconoscersi e insieme formarsi. La missione della Normale non è un garbuglio pisano, ma ha un valore nazionale. Come disse Delio Cantimori, pronunciando il 28 settembre 1963 il discorso che celebrava il 150° anniversario dell’avvio della Scuola, essa è una realtà che «può rivendicare, anche in mezzo al fiorire di tanti Collegi universitari e di tanti istituti, per altri aspetti benemeriti e auspicabili, e senza pretendere a nessun monopolio e a nessun primato formale, un suo carattere proprio e inconfondibile». Da non disperdere o commerciare con pasticciate logiche di scambio nell’età di un babelico globalismo.

Pubblicato su “Corriere Fiorentino”, 16 dicembre 2018

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