130624_acciaioI romanzi non sono sempre lo specchio della realtà ma può succedere che la realtà si intrecci e si mescoli alla fantasia diventando un tutt’uno. ‘Acciaio’, romanzo di Silvia Avallone da cui è stato poi tratto l’omonimo film, è ambientato a Piombino e a rileggerlo oggi ha quasi il sapore di una premonizione, mette in fila i segni di un inesorabile declino. Tutto ruota intorno alla grande fabbrica che domina la città toscana che si affaccia sul Tirreno. Un rapporto profondo, viscerale tra il gigante e la città. La crisi economica che divora sogni e progetti. Il lento declino dell’industria siderurgica che per anni ha garantito il pane quotidiano alle famiglie operaie.

I protagonisti di quel romanzo oggi sono più reali che mai. Hanno preso vita. Sono gli operai della Lucchini, lo stabilimento siderurgico di Piombino, uno dei più grandi d’Italia, a cui hanno staccato la spina come a un malato terminale. Anzi, per la precisione, hanno messo ‘a riposo’ l’altoforno, un bestione alto 30 metri e largo quasi 15. In stand-by in attesa che qualcuno si faccia avanti con una buona offerta, in attesa del padrone giusto che decida di rimetterlo in vita. La Lucchini è come un orfano che attende di essere adottato. L’altoforno riposa e nella fabbrica ormai non circola più sangue. Una condanna a morte per le centinaia di migliaia di operai e di famiglie il cui destino è legato alla sopravvivenza della fabbrica. La crisi della Lucchini non è soltanto un fatto economico, industriale, ma segna una rottura profonda dell’identità di un popolo, di intere generazioni. Mare e acciaio. Questa è Piombi01no.

In ogni famiglia c’è una tuta blu. Gli operai di Piombino sono come quelli di Taranto e Pomigliano. Dopo anni di lotte e battaglie avranno perso identità politica, soldi in busta paga, diritti ma non umanità e dignità. Sono stati umiliati dall’incertezza e dalla precarietà ma non hanno perso la speranza. La crisi non ha fatto breccia nelle loro coscienze. Gli operai della Lucchini non difendono solo il loro posto di lavoro ma difendono Piombino, l’Italia e un pezzo di ognuno di noi. Il caso Piombino non è il primo e, poveri noi, non sarà l’ultimo senza uno straccio di politica industriale. Lo spegnimento di quell’altoforno rappresenta uno spartiacque tra il prima e il dopo. In mezzo ci sono gli operai.

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