img_8386«Papà mangiava il suo panino a pranzo seduto su sacchi di amianto; uno dei suoi compiti era trattare le navi con l’amianto per renderle ignifughe. E’ morto di asbestosi polmonare, ma oggi siamo noi a dover ripagare l’Inail per questa morte». A parlare è Federica Barbieri, figlia di Mario Barbieri, 38 anni, due fratelli, una madre vedova di 75 anni a cui l’Inail ha tolto anche la pensione di reversibilità. Un caso giudiziario che dura da quattordici anni, finito oggi, con una seconda sentenza di appello della Corte di Genova e la richiesta di risarcimento dell’Inail alla famiglia Barbieri.

La storia. Mario era un operaio generico, gruista, impiegato all’interno dei famosi NCA, i cantieri navali di Carrara. «Dal 1966, al 1992- racconta la figlia Federica- papà ha sempre lavorato dentro quei maledetti cantieri; ricordo come fosse adesso i suoi racconti, i suoi pasti consumati seduto su sacchi di amianto, le operazioni di sabbiatura delle navi, in tempi in cui non c’era ancora grande consapevolezza della pericolosità di questo materiale. Erano di amianto anche i freni della gru che maneggiava per otto, dieci ore al giorno. La malattia fu veloce, lo attaccammo ad un respiratore e ci rimase per cinque anni. Ma l’Inail non riconobbe la malattia professionale e fummo costretti a ricorrere in giudizio».

L’inizio del processo. Da quel momento si contano innumerevoli perizie mediche, CTU, CTP, testimonianze di colleghi, rapporti Asl: nel 2006 la sentenza di primo grado dà ragione a Mario Barbieri, gli riconosce una invalidità all’80% e costringe l’Inail a risarcirlo con 93 mila euro. Pochi mesi dopo l’uomo morì. L’Inail ricorre in appello e nel 2008 la Corte di Genova sostiene la possibilità che l’uomo possa aver contratto la malattia al di fuori del suo posto di lavoro, dando ragione all’Inail. La Cassazione due anni dopo ritiene che la Corte di Appello abbia commesso un errore nella valutazione delle carte e rimanda il caso per la seconda volta a Genova dove un nuovo collegio, con nuovi periti, riapre le pratiche e riesamina le perizie.

L’ultima sentenza.  Per la seconda volta la Corte di Appello di Genova dà ragione all’Inail, abbassa l’invalidità dell’uomo al 38%, sostenendo che non si sia trattato di “malattia professionale” e toglie alla vedova 75 enne la pensione di invalidità. Agli eredi l’Inail chiede la restituzione dei 93 mila euro, più gli interessi maturati in dieci anni e le costose spese legali di quattordici anni di processi.

«In pratica molto più di quanto ci avevano dato nel 2006 – commenta la figlia Federica-; siamo rovinati, anche se quel patrimonio non era stato praticamente toccato, oggi io e miei fratelli siamo costretti ad aprire un mutuo per pagare l’Inail e mia madre è rimasta senza nulla. L’Inail non ci vuole riconoscere neanche quel 38% di invalidità che per legge ci dovrebbe garantire una minima rendita. Dice che dobbiamo tornare in Cassazione se vogliamo spuntarla. Ho capito che non posso competere, che non c’è giustizia, che la morte di mio padre per loro non è esistita e che non c’è un responsabile. Vorrei lottare ancora ma siamo esausti».

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