penna-e-calamaioLa letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.

Goli Taraghi è una delle grandi autrici della letteratura persiana. Nata a Teheran, ma ormai da molti anni esule a Parigi, proprio dalla intima condizione di esule ha attinto nello scrivere il suo ultimo libro, “La signora Melograno”, pubblicato in Italia dalla neonata editrice Calabuig. Sette storie che nascono dall’avventura della lontananza, dallo sradicamento, dai ricordi. I personaggi sono, in qualche modo, tutti stranieri a se stessi, vite in transito da un esilio all’altro, che sembrano trasformare lo spaesamento in struggente vitalità. Sullo sfondo di tutte le storie c’è la Storia, l’Iran, la Rivoluzione. Tra i protagonisti anche un paradossale professore (“Gentile ma ladro”) costretto a rubare per sopravvivere.

«Trascorrevamo i giorni intorpiditi, come in stato di dormiveglia. La guerra con l’Iraq continuava. Eravamo costretti a vivere nel buio. Zio Humayun leggeva i suoi libri a lume di candela, mentre noi avevamo una lampada a petrolio. Di sera la nonna ascoltava la radiolina a pile che teneva sul cuscino. Mia madre aveva nascosto tutti i suoi averi in borsetta, e spendevamo quei soldi con parsimonia e trepidazione. Zio Humayun era generoso, e nonostante non disponesse di grandi risorse, faceva attenzione che non ci mancasse il cibo. Ero io che andavo al negozietto all’angolo per comprare panini al pollo o cotolette per noi tre, mentre lo zio imbandiva la tavola con una gran terrina d’insalata e un cestone di frutta. Hajji mangiava solo riso in bianco con lo yogurt o con i pomodori, spartendo quanto aveva nel piatto con Jimmy.

La vita era diventata una lunga attesa: io aspettavo che l’università riaprisse; nonna, che zia Badri ritornasse; mia madre attendeva la fine della guerra e l’opportunità per emigrare.
Zio Humayun era l’unico a non far parola del passato e a non pensare al futuro, per lui solo il presente sembrava esistere.

L’unico a correre dietro al tempo era un orologio rimasto appeso al muro. Io, mia madre e nonna eravamo tre esseri immoti, muti, sprofondati in un sonno antico. Aspettavamo un evento o qualcuno che venisse a scuoterci dal nostro torpore. E un giorno i nostri desideri vennero esauditi.

Il salotto aveva una porta a vetri che si apriva sul giardino. Una sera, mentre mi preparavo per andare a dormire, udii qualcuno bussare a quella porta. Accesi la lampada centrale, e la sua poca luce mi consentì solo di vedere un’ombra indistinta materializzarsi al di là del vetro. Guardai meglio, e allora scorsi un uomo, alto, con un cappello sulle ventitré. Ebbi un tuffo al cuore. Il mio cervello smise di funzionare, tanto che, istintivamente, socchiusi la porta; prima ancora che potessi chiedere chi era, l’uomo la spalancò ed entrò. Mi salutò. Nonna stava seduta, intenta a pregare, ma si rese conto che alle sue spalle stava succedendo qualcosa. Voltò la testa scorgendo me e lo strano ospite:

“E lei chi è?” chiese.

L’uomo si tolse il cappello in segno di rispetto verso la nonna:

“Per cortesia, state calme. Non ho nessuna intenzione di farvi del male. Mi prendo un paio di cosine da casa vostra e me ne vado”.

“Parli più forte, cosa ha detto?” chiese la nonna.

L’uomo ripeté la sua richiesta a voce più alta, arrossì e chinò il capo. Tirò fuori un fazzoletto con cui s’asciugò la fronte:

“Chiedo scusa, col vostro permesso, metto qui dentro questa coppa e l’orologio da tavolo”.

Nonna si alzò e afferrò la sua canna:

“Ah bene! abbiamo visto ogni tipo di ladro, ma mai un ladro educato. Un ladro che chiede il permesso! Non è che sei matto?! Svelto, vattene fuori, altrimenti finisci dritto in prigione!”. E afferrò un sasso scagliandolo verso il ladro educato.

“Adesso andiamo tutti a dormire” disse lo zio, avviandosi su per le scale verso la sua stanza seguito da Jimmy e da Hajji.»

 

[da La signora Melograno di Goli Taraghi]

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