Una scena del film "Vatel"
Una scena del film “Vatel”

I programmi televisivi che si occupano di cucina in genere funzionano bene e fanno audience oltre a promuovere, almeno alcuni, l’idea che cucinare non è solo mescolare insieme degli ingredienti. Hanno anche sdoganato in maniera ampia e popolare il concetto che i cuochi sono, o possono essere, le nuove star del piccolo schermo – al cinema le storie con i cuochi ci sono, ma a parte “Ratatouille” nessuna di straordinario successo, nemmeno il monumentale “Vatel” con Gerarde Depardieu -quindi è comprensibile e logico che ce ne siano di storici come la “Prova del cuoco” e di relativamente nuovi come le “Cucine Infernali” di Carlo Cracco.

Ho molto rispetto per chi ci lavora e sono consapevole che anche l’ultimo dei concorrenti fra i fornelli è sicuramente più capace e preparato di me quando si tratta di pavlove e soufflés , ma quando guardo “Masterchef ” o “Hell’s kitchens”,  sempre più spesso mi scopro afflitta da un senso di disagio e spengo la TV o cambio canale. Eppure cucinare mi piace e la possibilità di imparare qualcosa da grandi cuochi come i conduttori di questi programmi sarebbe sufficiente a farmi stare ore incollata davanti allo schermo e invece dopo poco provo solo voglia di  andarmene. Mi spiego. L’altro giorno ho visto per caso una vecchia puntata di “Masterchef” versione italiana di un paio di anni fa, una di inizio serie quando ancora i concorrenti sono tanti e la competizione è agli inizi, e mi sono subito ricordata perché ho smesso di guardare questo programma. Sorvolando sul monumentale spreco di cibo che viene mostrato nelle prove di selezione – anche se si tratta di patate e farina, la visione dei concorrenti che spaccano i sacchi di farina a colpi di tazza e ne fanno cadere a terra non si sa quanta è davvero poco edificante, mentre i chili di patate sbucciate abbandonate sui tavoli da lavoro sarebbe bello sapere che fine fanno – è il clima di tensione che si instaura fino dalle prime prove che mi disturba. In questa cucina non si ride mai. E nemmeno si sorride. Ci sono solo facce tese o preoccupate da una parte del tavolo e serafico-sprezzanti dall’altra. Non sembra di assistere alle prove di aspiranti cuochi intenti a dimostrare cosa sanno fare, sembra di guardare aspiranti gladiatori che si misurano l’uno con l’altro in un’arena prima di sferrare il colpo che atterrerà l’avversario. Ma davvero in un mondo dove le più crudeli e spaventose violenze sono state spettacolarizzate abbiamo bisogno di cucine dove non si ride mai?

piatto_chefIn un vecchio film dedicato a un cuoco (il personaggio era ispirato, pare, a Filippo La Mantia e Ugo Tognazzi) che aveva per protagonista Luca Zingaretti ed era diretto da Simona Izzo il bravo e nevroticissimo chef a un certo momento spiega a un giornalista l’origine del suo essere sempre sopra le righe: «Stiamo tutto il giorno in mezzo al fuoco, alle armi e ad animali morti, la follia ci si addice». Una bella frase, che va bene al cinema e magari anche dentro la cucina di un ristorante dove, sicuramente, la pressione e la frenesia sono altissime, ma non credo che siano le caratteristiche più importanti dell’arte di cucinare. Non penso sia tutto quello che si deve far vedere di una cucina dove si ambisce a preparare grandi piatti. In cucina la democrazia non esiste, vige, inevitabilmente, un’organizzazione piramidale dove la parola dello chef è quella che conta, ma se lo chef in questione fosse un nerboruto tiranno con in mano un metaforico gatto a nove code e tutto il cibo venisse cucinato in mezzo alla tensione pura e alle urla contornate di umiliazioni dubito che i ristoranti resterebbero aperti. In una cucina stellata o in una trattoria di campagna c’è di più e di meglio. Anche per l’ultimo lavapiatti, figuriamoci per un cuoco.

LA RICETTA La farina dei sacchi spaccati a colpi di tazze di porcellana serviva a preparare la perfetta besciamella e quindi…La besciamella è una salsa fondamentale, in Francia fa parte di quello che io chiamo il poker d’assi, cioè le quattro salse base di tutta la cucina francese, ma nonostante il nome dalle assonanze transalpine è una salsa italiana, anzi toscana, visto che la inventarono alla corte dei Medici e Caterina  la portò in Francia quando sposò  Enrico II. Il segreto per una buona besciamella, che come dicono a Masterchef deve essere setosa al cucchiaio, consiste nel preparare un roux con le stesse dosi di farina e burro e nello scaldare il latte col sale e la noce moscata. Semplice no?

 

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