Mara Gabiccini obbligazionista Banca Etruria
Mara Gabiccini obbligazionista Banca Etruria

«Quando il responsabile del nostro sportello ha iniziato a telefonarmi al cellulare e a casa per farmi spostare dal conto dei soldi ricevuti da una piccola eredità, io alla fine mi sono convinta». Inizia da qui il racconto di Mara Gabiccini, 40 anni cameriera stagionale al Santuario della Verna, a Chiusi della Verna (Arezzo). E’ una delle vittime del decreto salva-banche, aveva tutti i suoi risparmi in Banca Etruria. Fa parte di quei 160 che sono stati danneggiati a Chiusi della Verna, il paese italiano che conta il maggior numero di obbligazionisti che hanno perso tutto. «In casa nostra non si è salvato nessuno: tra me, il mio babbo che ha 80 anni e mio fratello abbiamo perso 76 mila euro – racconta ad agenziaimpress.it – Qui a Chiusi siamo in pochi a voler parlare. La gente si vergogna perché si sente stupida ad essersi fatta fregare così dalla Banca. Noi ci siamo tutti fidati. Come succede nei piccoli paesi, il sindaco, il dottore, il prete, il farmacista e il bancario, sono i nostri punti di riferimento, le persone importanti di cui ci si può fidare. Così quando il responsabile del nostro sportello ha iniziato a telefonarmi al cellulare e a casa per farmi spostare dal conto dei soldi ricevuti da una piccola eredità, io alla fine mi sono convinta».

Di quanto tempo fa si parla?

«Era il 2013. Io ero stata chiara, avrei spostato dal conto quei soldi, 26mila euro, solo per fare un investimento sicuro che potevo controllare. Per intendersi, che avrei potuto sbloccare quei soldi quando volevo io e come volevo io. Mi era stato detto che queste obbligazioni subordinate erano sicurissime, che non mi dovevo preoccupare delle voci che sentivo della crisi della banca, e che avrei fatto la cosa migliore per me e la mia famiglia. Così quando è venuto a casa mia con i fogli, ho firmato. Poco tempo dopo, questo bancario ha cominciato a dirmi che anche il mio babbo aveva troppi soldi fermi nel conto e che li dovevamo spostare. Ha iniziato a telefonare e a insistere. Ci ha mandato perfino i fogli da firmare a casa. Così mio padre ha perso 30mila euro. I soldi che con fatica aveva risparmiato tutta la vita. Abbiamo aspettato a dirglielo, avevamo paura che si sentisse male. Mio babbo aveva 36 anni quando è rimasto vedovo e ha cresciuto me e i miei due fratelli con sacrifici. Con questi soldi voleva assicurarsi una vecchiaia in cui non avrebbe pesato su di noi».

Subito dopo l’uscita del decreto, che cosa è successo in paese?

«In molti non avevano idea di quello che era successo. Ma io mi sono subito preoccupata. Solo pochi giorni prima ero stata in banca a chiedere se dovevamo spostare i nostri soldi, ma ci dicevano tutti di stare tranquilli. Lunedì mattina presto, il 23 novembre, è arrivata la telefonata di quel direttore che due anni fa mi aveva fatto fare l’investimento. Mi ha detto: «Mara siediti, ti devo dire una cosa brutta, quei soldi non ci sono più». E io mi sono sentita male».

Ci sono state reazioni contro gli operatori dello sportello di Banca Etruria?

«Nessuno di noi ha fatto gesti brutti, anche se la rabbia è tanta. Prendersela con chi non c’entra niente non ha senso. C’è da dire che il cambio del direttore della nostra filiale, precisamente nel giorno dopo l’uscita del decreto, ci fa pensare. Che non avevano fatto le cose come si deve lo sapevano».

E ora cosa farete?

«Intanto io e la mia famiglia abbiamo tolto tutti i soldi e i conti che avevamo in Banca Etruria. Così hanno fatto altre famiglie di Chiusi. Ora si lotta per avere indietro quello che è nostro. Lo Stato ci vuole fare l’elemosina, ma non ha capito niente. Come verremo risarciti ancora non si sa, ma dobbiamo riavere i nostri soldi. Per questo il 2 gennaio andremo in comune a Chiusi per capire quali sono le azioni legali da intraprendere e ci faremo assistere anche da un altro avvocato. Non per sfiducia ma perché, ormai, fidarsi è impossibile».

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