condannaLa prima sentenza sullo scandalo Monte dei Paschi, sull’ostacolo alla vigilanza in merito al derivato Alexandria, è di condanna per Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gianluca Baldassarri. Ma non è definitiva. E il processo più corposo, quello su Antonveneta, si terrà a Milano. Le prime condanne sul passato dei big della banca, arrivano comunque in contemporanea alla condanna del presente del Monte dei Paschi. Il mercato, infatti, sta esprimendo sentenze definitive, drammatiche, sul Monte dei Paschi post-scandalo, impallinato dagli stress test europei. In Borsa la banca ha perso il 40% del suo valore, bruciando 2036 milioni, e ora è con l’acqua alla gola.

Senza metter mano immediatamente ad un piano di reazione che comunque dovrà arrivare entro il 10 novembre, lasciando il Monte in balia dello scempio del mercato, il presidente Profumo ha ammesso che l’ «indipendenza della banca è in discussione». Di fronte a questo sfascio, il presidente della Regione Enrico Rossi, dice al Governo di «entrare temporaneamente nel capitale di Mps», o tutto va in fumo. E mentre il Premier Matteo Renzi dice che il «caso Mps non è irrisolvibile», due esponenti di primo piano del renzismo senese, nel sabato di Ognissanti, si esprimono con parole finalmente nette, senza cerchiobottismi.

Scrive su Fb, Stefano Scaramelli, membro della Direzione Nazionale del Pd: «Crisi della Banca Mps? Basta con l’ingerenza della politica, basta con manager politicizzati, basta con la presunzione di voler conquistare il mondo, basta con le manie di grandezza. Si può essere forti e tornare a essere grandi se si rende forte un territorio e lo si fa grande. Occorre tornare ad operare nella parte centrale dell’Italia e ripartire da dove è partita la nostra storia. Si affidi l’attuale gestione ad un commissario straordinario che sappia di banca e che ponga un freno a chi vorrebbe speculare svendendo all’estero la nostra storia e la nostra tradizione. Solo così si può salvare Mps. Ripartendo da Siena e dalle sue Terre».

E il sindaco Bruno Valentini, rilancia su Fb la dichiarazione riportata da Repubblica: «Se i manager di Mps non sono capaci di elaborare una strategia rapida e tempestiva è bene che lascino il posto ad altri. La proprietà lo deve pretendere da chi guida una banca solida, razionale ed efficiente, che sta subendo un’irrazionale perdita di valore, anche per operazioni speculative che ne favoriscono l’incorporazione in un gruppo più grande».

Il presente resta disseminato di macerie e sconfitte. E chissà come andrà il futuro immediato, e non, della città, su cui graveranno a lungo le conseguenze delle nefaste scelte del decennio passato, operate dalla politica e dalla finanza deviata. Come appare ancora più chiaro – se ce ne fosse stato bisogno –  dai verbali dell’interrogatorio di Gabriello Mancini, pubblicati da La Nazione, gli ex vertici della banca hanno agito potendo contare sulle coperture garantite dall’allora Ds senese – fiancheggiato dai big nazionali del passato – con l’aggiunta delle complicità trasversali di Forza Italia “verdiniana”, fino a Gianni Letta e Berlusconi.

Giova rileggerli alcuni passi di quei verbali. E’ Mancini, non certo esente da colpe, che parla: «La conferma dell’avvocato Mussari alla presidenza della banca nel 2009 avvenne quasi de plano. Però  ricordo una riunione alla quale partecipai in qualità di presidente della Fondazione, alla quale erano presenti l’onorevole Alberto Monaci, l’onorevole Franco Ceccuzzi, il segretario provinciale del Pd, Elisa Meloni, Cenni, Ceccherini e Bezzini, candidato del Pd alla presidenza della Provincia, Alfredo Monaci e, forse, anche Giuliano Simonetti, componente della Deputazione generale della Fondazione, nel corso della quale si discusse delle nomine per il cda e si decise di aumentare da 10 a 12 i componenti del consiglio. Tale aumento fu necessario per accontentare Mussari e Ceccuzzi che volevano un altro componente in consiglio di amministrazione».
E ancora: «La nomina di Antonio Vigni (quale direttore generale, ndr) era fortemente voluta dal sindaco Maurizio Cenni e dalla Fisac-Cgil».
E per concludere – è ancora Mancini che parla – ecco chi decideva sulle scelte bancarie da compiere: «Ricordo che nel dicembre 2006, insieme al provveditore Parlangeli, mi incontrai con alti dirigenti del Banco di Bilbao, con i quali raggiungemmo un’ipotesi di fusione. Ma l’allora sindaco Maurizio Cenni, l’allora presidente della Provincia Fabio Ceccherini e l’onorevole Franco Ceccuzzi non acconsentirono».

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