Pellegrino_ArtusiQuando scopro qualcosa di positivamente nuovo in chi credevo di conoscere, non so perché ma ho sempre la sensazione di aver ricevuto un regalo. Un po’ come trovare un biglietto da cinquanta euro nella tasca dei pantaloni che stai per mettere in lavatrice: erano tuoi anche prima, ma ora che li hai ritrovati valgono un po’ di più. Qualche giorno fa sono andata al Mercato Centrale di San Lorenzo a Firenze per seguire un seminario dedicato a Pellegrino Artusi, incontro nel quale, inevitabilmente, si sarebbe parlato anche del ricettario, ma incentrato su aspetti meno noti della sua vita e di come era arrivato, non più giovanissimo, a creare la Bibbia della cucina italiana. In scaletta anche altri argomenti sempre collegati all’enogastronomia e che meritano di essere affrontati singolarmente: olio e vino in Toscana e l’utilità, o meno, dei marchi come garanzia per consumatori e produttori. Nel complesso, si prospettava una mattinata interessante. Poi, la sorpresa. Sono stata al mercato di San Lorenzo decine se non centinaia di volte, è il mercato cittadino più grande della mia città ed è sempre stato ricco e invitante, ma sei mesi fa hanno finalmente riaperto al pubblico il primo (e ultimo) piano dell’edificio, una costruzione pregevole (mi dicono) anche sotto il profilo architettonico e storico, un liberty davvero raro in riva all’Arno. Il primo piano era chiuso da tempo immemorabile e la riapertura è stata fatta in grande stile con un battage pubblicitario notevole. I motivi che mi hanno impedito fino a qualche giorno fa di andare a vedere la ragione di tanto rumore sono troppi quindi mi limito a dire che, ora che l’ho visto,  posso solo commentare: ne valeva la pena. Se aggiungessero una piccola, ma ben fornita Spa (non so perché una Spa ci finisce sempre nei miei luoghi ideali) in quella specie di “cibolandia” che hanno costruito al primo piano del mercato centrale a Firenze chiederei di prenderci la residenza.
Per un gourmet, un foodblogger, un produttore di agroalimenare, un vegano, un vegetariano, un editore, uno scrittore, un carnivoro, un aspirante chef, un enologo, un fornaio, un macellaio, un mastro birrario, un maestro cioccolatiere, un antropologo, uno storico dell’enogastronomia e, perché no, anche un giornalista, ma soprattutto per chiunque apprezzi minimamente il cibo e la qualità del medesimo, quello è il posto dove concedersi almeno due ore di visita e un pasto. O anche solo uno spuntino. O un capriccio di gusto, come ho fatto io alla fine del mio seminario. Mi sono regalata una battuta al coltello con tartufo bianco e un olio di cui ignoro il nome che non ho chiesto per eccesso di felicità. Inutile, ma doveroso aggiungere che era buonissima. Non vi tedierò con la descrizione della struttura, la felice bellezza di come sono stati organizzati gli spazi per mangiare, cucinare, assistere a dimostrazioni pratiche di panificazione o solo degustare vini, birre, cioccolato, pane, pasticcini e via elencando. Non vi racconterò del tempo che ho “perso” curiosando nella fornita libreria dove ci sono volumi che trattano solo agroalimentare e cucina e tralascerò di aggiungere che ci sono due ristoranti da cui si gode una vista succulenta di tutto quello che succede sotto di voi, oppure che la scuola di cucina è allestita dietro un’enorme vetrata così che tutti possano ammirare i cuochi e gli aspiranti tali al lavoro. No, no. Non vi descrivo niente. Però, che davanti al banco dove propongono carni selezionate in carpaccio, alla griglia o alla tartara hanno costruito una birreria fra le più fornite che abbia mai visto fuori dall’Irlanda ve lo posso dire?
P.S. Per accompagnare la battuta al coltello ho scelto una birra non pastorizzata e a bassa gradazione alcolica, scura e forte, che sembrava una poesia.
La ricetta Battuta al coltello con tartufo. La preparazione, a patto di sapere adoperare il coltello come si deve, è semplice. In questo piatto, più che mai, quello che conta sono gli ingredienti che devono essere ottimi. La battuta al coltello con tartufo bianco  è un piatto tipico piemontese e si fa utilizzando un taglio di carne di fassone (o comunque carne scelta e magra) del tartufo bianco, sale e pepe nero e un olio dal sapore delicato, un ligure o comunque un olio dolce, onde evitare contrasti infelici col tartufo. Una volta tagliata la carne a pezzettini, se uno non lo sa fare può chiedere aiuto al macellaio o imparare con la pratica, si usa il coppapasta per darle una forma e si irrora con l’olio quindi si condisce con sale e pepe e si lascia riposare qualche minuto. Si toglie il coppapasta e si guarnisce con scaglie di tartufo bianco appena tagliate. E, in genere, si assapora un po’ di felicità per ognuno dei bocconi successivi.
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