deandreChi ama la canzone d’autore, e tra i suoi protagonisti – uno su tutti – Fabrizio De André, non può, in questo inizio d’anno, dimenticare due ricorrenze. L’anniversario della sua morte avvenuta l’11 gennaio 1999 e i cinquant’anni della “Canzone dell’amore perduto”, struggente brano creato sulle note dell’adagio del Concerto per tromba e archi di Telemann (“l’amore che strappa i capelli / è perduto ormai / non resta che qualche svogliata carezza / e un po’ di tenerezza”).

Fernanda Pivano non aveva dubbi: De André era un poeta. Quando uscì il disco “Non al denaro non all’amore né al cielo”, liberamente tratto dalla “Antologia di Spoon River”, la stessa Pivano si spinse a dichiarare che i testi deandreiani erano decisamente superiori ai versi di Edgar Lee Masters e, tanto più, a quelli da lei tradotti in italiano.

Sorprendente fu anche una lettera di Mario Luzi indirizzata al cantautore genovese (divenuta prefazione al libro “Fabrizio De André. Accordi eretici”, Euresis Edizioni, 1997) in cui gli si diceva come le sue canzoni esprimessero un «canto integrale», in virtù del fatto che «lei è davvero uno chansonnier, vale a dire un artista della chanson». Del resto – proseguiva Luzi – «la sua poesia, poiché la sua poesia c’è, si manifesta nei modi del canto e non in altro; la sua musica, poiché la sua musica c’è, si accende e si espande nei ritmi della sua canzone e non altrimenti».

fabrizio-de-andreNon apparirà pertanto improprio se dal dicembre del 2004 esiste a Siena, presso la Facoltà di Lettere, il “Centro interdipartimentale di Studi Fabrizio De André”, sorto in collaborazione con la Fondazione De André allo scopo di offrire un punto di riferimento per quanti intendano dedicarsi a ricerche e studi sull’artista che così significativamente ha segnato la storia della canzone d’autore e uno spaccato di vita culturale (ed emotiva) del nostro paese.

E’ dunque nella città di Cecco Angiolieri e Federigo Tozzi che ora sono inventariati, ordinati, studiati i materiali più diversi relativi a De André. Un variegato fondo di lettere, fotografie, testi, spartiti, registrazioni, libri annotati, appunti sparsi. E’ l’archivio di una vita da artista dove ogni reperto, anche quello più quotidiano e apparentemente insignificante, riconduce comunque a un universo di pensieri, interessi, passioni, sensibilità, espressioni artistiche. Come, ad esempio, alcune agende e quaderni su cui Fabrizio annotava di tutto, da una citazione letteraria a una ricetta gastronomica, a un accorgimento di tecnica agricola. Nelle pagine che risalgono all’ultimo anno della sua vita – lo ha ricordato tempo fa Marco Ansaldo su Repubblica – troviamo una poesia su Francesco d’Assisi accanto a recapiti di medici, titoli di libri, lampi lirici che forse un giorno sarebbero diventati canzoni. Infine vi si legge una arguta considerazione: “Noi cantastorie andiamo in giro sollevando la polvere dai fatti memorabili, cerchiamo di farne mito o leggenda (abbiamo, a differenza dei giornalisti, la licenza di stravolgere) e se ci riusciamo davvero possiamo diventare Omero, se non ci riusciamo per niente andiamo a comprare i giornali nelle edicole”.

Le carte conservate al Centro De André, proprio nella loro disseminata frammentarietà dimostrano tutto un lavoro remoto che il cantautore svolgeva attorno a un’intuizione, magari a un semplice spunto. Ecco così frasi, concetti, prestiti letterari, promemoria, a testimonianza del lungo limio di un’idea che poi avremmo ritrovato in quei concept album che tanto ci hanno preso ed emozionato. Insomma, un metodo di lavoro che per certi aspetti aveva a che fare con l’aforisma da lui coniato a proposito del suo modo d’essere: «Ho sempre avuto pochissime idee… ma in compenso fisse».

Nelle stanze senesi di via Fieravecchia si trova, quindi, una considerevole parte del mondo deandreiano. Quello, giustappunto, che egli intendeva cogliere, sintetizzare, riproporre dal proprio punto di vista.

Ovviamente il Centro non ha solo funzioni di mera conservazione. Schedatura e ordinamento dei materiali significano soprattutto poterli rendere fruibili, consultabili. Metterli a disposizione per ricerche, approfondimenti, pubblicazioni. E’ un riferimento indubbiamente prezioso per qualsiasi iniziativa di conoscenza e studio su De André, così come è struttura di supporto per progetti promossi anche da altri atenei, istituti culturali, singoli studiosi. In ragione di tutto ciò vengono periodicamente organizzati convegni, seminari, concerti, prodotte pubblicazioni, promosso incontri con gli studenti.

Verrebbe quasi da sorridere al pensiero di come si siano potuti inventariare guizzi di pensieri, emozioni, il ‘disordine’ della creatività. Ma questo accade per gli artisti, il cui universo diventa in qualche misura patrimonio di tutti.

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