dav
Un momento della conferenza stampa

A Pieve Santo Stefano in provincia di Arezzo è sempre tempo di una buona storia. Questo perché Pieve è la “Città del Diario”, che nel suo Archivio Diaristico Nazionale custodisce fin dal 1984 oltre 7mila diari, epistolari e memorie autobiografiche popolari. Ma arriva un momento dell’anno in cui le storie escono dal proprio museo per essere raccontate e risuonare forti per le viuzze del borgo. Sì perché l’archivio non è una semplice raccolta, ma una collezione viva e in divenire, che cresce ogni anno arricchendosi prima di tutto grazie al Premio Pieve Saverio Tutino, il concorso annuale per scritture autobiografiche promosso dall’Archivio. Così anche quest’anno ritorna puntuale dal 16 al 18 settembre l’appuntamento col Premio Pieve, giunto ormai alla sua trentaduesima edizione. Tra le centinaia di concorrenti sono otto le storie finaliste in gara, presentate questa mattina alla Camera di Commercio di Arezzo da Natalia Cangi, direttrice organizzativa dell’Archivio Diaristico Nazionale, Andrea Sereni, presidente della Camera di Commercio di Arezzo e vicepresidente nazionale di Unioncamere e Fabio Pecorari, direttore generale Banca di Anghiari e Stia Credito Cooperativo,  sostenitore del progetto.

RabitoBassa8 diari per raccontare 115 anni di storia d’Italia Rubata, malata e negata. È la giovinezza, che fa da protagonista nelle otto storie finaliste di questo Premio Pieve Saverio Tutino. A raccontare l’unicità delle storie in gara è la direttrice dell’Archivio Cangi: «Sono vite vissute con intensità, sconvolte dalla guerra, messe a dura prova della malattia, stravolte dall’incontro con le droghe. Ma sono anche vite ricche di emozioni: gioia, paura, speranza nel futuro. Sono vite che raccontano oltre un secolo di storia italiana. Giovinezza, viaggio, amore guerra uniscono queste storie che ci permettono di raccontare 115 anni di storia del nostro Paese. Sono storie tutte da leggere per comprendere la nostra di storia».

I protagonisti: gente comune Tra le otto storie in gara c’è il diario di Giulio Cesare Scatolari, giovane medico di Jesi che nel 1900 vola fino in Congo e racconta il suo incontro-scontro con l’Africa coloniale; c’è l’amore che domina gli epistolari, due quelli in gara, entrambi del primo decennio del ‘900, in cui si raccontano due modi diversi di rivolgersi alle donne. È il carteggio di Camillo e Ada, incuranti di un’Italia e un’Europa stravolte dalla seconda guerra mondiale, e il carteggio degli anni Venti di Giulio ed Emma. Lui era un operaio metallurgico, lei una sarta, amavano entrambi studiare, leggere e avevano una precisa visione, anche politica, della società degli anni Venti. Nel loro breve epistolario c’è parte di una storia che poi andrà avanti nonostante l’arresto di Giulio per cospirazione politica (che lo porterà al confino alle Tremiti). Dopo la Guerra, il riscatto: Giulio diventerà deputato della Repubblica per il Partito Comunista.  Poi ci sono tre storie proiettate nell’oggi. Da quella di Chandra Ganapati che nelle sue memorie racconta la sua adolescenza e giovinezza dal 1978 al 1996. Una storia di dipendenze dalla droga. È il racconto di una giovinezza bruciata: dalla fuga da un padre violento, alla dipendenza dall’eroina, al carcere, alla comunità di recupero, ai viaggi in Oriente fino al grande amore della vita, con cui lotterà per avere un figlio senza trasmettergli il virus dell’HIV. Oltre a quella di Chandra c’è un’altra storia di maternità, altrettanto sofferta: è quella di Cinzia Pinotti e della figlia Vera. Dall’inizio del racconto nel 1988, e della gravidanza, tutto è pervaso da un forte senso di paura, un presagio di morte. Purtroppo le paure di Cinzia si concretizzano: nel 1996 Vera ha un dolore al ginocchio che si rivela essere la spia di un cancro osseo. Il diario sarà il più alto atto di denuncia di Cinzia contro un sistema sanitario che ha trasformato la figlia in una cavia su cui sperimentare cure fallimentari. “Sotoverde” è il più contemporaneo dei diari in concorso. È il racconto di Marcello Caprarella, autore foggiano che negli anni ’90 decide di lasciare l’Italia per un Erasmus in Spagna. Madrid e il quartiere dove vive diventano il luoghi del suo cuore. In particolare il bar che frequenta, dove prendono vita le 735 pagine del suo diario, una memoria che chiede di essere letta. Un intimismo perfettamente al passo con lo spirito social dei nostri tempi.

Due toscani in gara Tra i finalisti del Premio Pieve Saverio Tutino 2016 ci sono anche due storie tutte toscane. È il racconto di un pittore, il diario anomalo di un artista di Anghiari, Fausto Vagnetti. Il suo è uno scritto intenso, che da 1906 al 1954 tratteggia i chiaroscuri di un’esistenza densa di frustrazioni; è il racconto della vita di un uomo che è prima di tutto un artista, costretto ad insegnare per provvedere al sostentamento della famiglia, quando in realtà vorrebbe solo dipingere. È il racconto di una Prima Guerra Mondiale vissuta ad Anghiari, al fianco della famiglia e di una vita vissuta da antifascista convinto e socialista. C’è poi il diario di Giulio Turchi, nato ad Impruneta vicino Firenze. È il racconto della sua educazione fascista. È la storia di una formazione simile a quella dei coetanei dell’epoca, se non fosse che Giulio appartiene ad una famiglia profondamente antifascista e comunista. Attraverso la lettura dei classici e all’ascolto di Armstrong e della musica Blues, Giulio cambia rotta alla sua formazione e trova una strada tutta sua: lontana dal fascismo e dal sistema educativo in cui la famiglia stessa lo aveva inserito per proteggerlo dal regime.

Articolo precedenteProposta in cinque mosse per uscire dall’emergenza ungulati
Articolo successivoFestival Barocco. Il 2 agosto a San Gimignano il contralto Redini e il liutista Bellini in concerto