Bersani ha vinto le primarie del Pd. Tanto prevedibile quanto scontato, vista la vigilia che ha preceduto il ballottaggio. Oltre il 60% a livello nazionale per il segretario, ma poco o pochissimo entusiasmo attorno alla sua candidatura a premier. Il perché si spiega nelle reazioni a caldo di alcuni sostenitori di Bersani: due nomi su tutti, Rosy Bindi e Massimo D’Alema non hanno perso un attimo per condire la vittoria con frecciatine più o meno al veleno nei confronti di Renzi. Bisogna saper perdere, dunque, ma bisogna anche saper vincere. «Intanto s’è vinto…», ho letto da qualche parte su Facebook. Ebbene, se queste sono le basi, prepariamoci a delle Politiche 2013 che potrebbero rappresentare una vera e propria doccia fredda per il Pd.
Intanto perché la vittoria di Bersani è arrivata grazie a Vendola e ai vendoliani, confermati di nuovo come ago della bilancia nella coalizione di centrosinistra. Una storia che si ripete se si fa un rapido confronto con la (dis-)Unione dei tempi dell’ultimo Prodi. Una coalizione che, ricorderei, potrebbe allargarsi anche a forze centriste (Fini? Casini? Vedremo…): prospettiva, questa, che potrebbe minare sin da subito un eventuale Governo Bersani.
Il secondo fattore che fa storcere la bocca a molti italiani, in vista del 2013, è l’antipatia che ha attratto a sé la componente piddina che ha impedito a molti di andare a votare per il solo ballottaggio. 10 su 10mila è la media in Toscana (regione ritenuta a dir poco emblematica per queste primarie) di chi ha fornito una “giustificazione”ritenuta accettabile per recarsi alle urne esclusivamente per il secondo turno. Dieci su 10mila. Un po' come cantava Gianni Morandi: «Uno su mille ce la fa…». Battute a parte, questa mossa potrebbe far perdere molti consensi, e soprattutto voti, al Pd. Consensi che aveva attratto la figura di Matteo Renzi e che rischiano di andare dispersi in direzione Grillo o Berlusconi (se ri-scende in campo). Quanto di più infausto ci possa essere dunque per il Pd.
Adesso a Bersani il compito di dimostrate tutta la sua intelligenza ed esperienza politica. Serve una svolta, un’idea (non un’ideologia) nuova di centrosinistra, l’Italia e la sua classe dirigente hanno bisogno di una profonda trasformazione. Nei programmi, nei linguaggi, nei volti e nelle facce. Al di là delle urne, le primarie ci hanno fatto vedere soprattutto questa sete di “nuovo”. A Bersani il compito di dimostrarsi più intelligente dei bersaniani che esultano per il successo alle primarie. La partita è appena cominciata. O, come qualcuno ha già detto in fiorentino, «il bello deve ancora venire».

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