C’è qualcosa nell’aria. C’è un clima di attesa, a sinistra, che non sembra foriero di buone notizie. Almeno per qualcuno. Il secondo turno delle primarie del centrosinistra è stato da poco archiviato con la netta vittoria di Pierluigi Bersani sullo sfidante Matteo Renzi ma non si festeggia ovunque. O per meglio dire si festeggia ovunque, ma non in Toscana dove non si riesce proprio a capire chi si appunterà al petto la medaglia della vittoria.

Qui il risultato del voto è parso la conferma di quello di domenica scorsa. Netta prevalenza dei renziani sul segretario. E quel ringraziamento di Bersani ieri sera, a risultato ottenuto, «all’apparato del partito che deve saper dialogare con la base elettorale e con l’organizzazione» è suonato un po’ ironico in una regione dove l’apparato e la dirigenza del partito sono forti ma non sono riusciti a contenere la “rottamazione”.

È vero, Bersani, rispetto a domenica scorsa, prevale a Grosseto (ma di soli 27 voti ) Pisa e Massa e Carrara, ma è a Firenze, Siena, Arezzo, Lucca e Pistoia che il sindaco fa il bis. E quel voto, dicono tutti i commentatori è la delegittimazione (anche agli occhi dello stesso Bersani?) che un ciclo politico è finito. «Un’accoppiata di figuracce – scrive oggi il direttore de La Nazione, Gabriele Cané – che si tenterà di camuffare dietro il successo del segretario». Insomma, si tenterà di minimizzare.

Ma poi qualcuno dovrà spiegare come è possibile nella regione di Vannino Chiti (vice Presidente del Senato), di Enrico Letta (vice segretario del Pd), di Rosy Bindi (Presidente del Pd), di Luigi Berlinguer, di qualche decina di parlamentari e centinaia di amministratori pubblici, di Enrico Rossi (Governatore della Toscana che pure ha un’alta percentuale di gradimento tra i toscani), di un segretario regionale piombinese e “rosso” doc, Andrea Manciulli, non si sia riusciti ad andare oltre il 45,1% dei consensi. Mentre il sindaco di Firenze, accusato di essere un corpo estraneo al Partito Democratico ha sfondato quota 54,8% dei consensi, raggiungendo il 55,9% nella “democratica” Firenze. Ad Arezzo, ad esempio è addirittura migliorato in una settimana passando dal 61,9% al 63,8% (Bersani si è fermato al 36,2%), a Siena dal 54,2 al 56,7% (Bersani si è fermato al 43,3%).

Minimizzare non basterà e quello di Renzi non è un "pericolo evitato, (come giustamente sostiene su queste colonne Tito Barbini) ma un rischio da correre. Un'analisi attenta e approfondita del voto  dovrebbe portare il gruppo dirigente toscano ad aprirsi all'esterno (lo chiede anche Valdo Spini) e potrebbe bastare per chi ha reali intenzioni di innovare il partito e rispondere a quelle migliaia di elettori del centrosinistra che non chiedono l’impossibile ma solo un partito un po’ più democratico in cui riconoscersi.

Ah, s'io fosse fuoco

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