passiteaChi percorresse l’austera galleria dei personaggi senesi – fitta teoria di ritratti appesi al tempo e alla penombra – incrocerebbe a un certo punto lo sguardo mite ma affatto sprovveduto di Passitea Crogi (1564-1615). Già la singolarità del nome, Passitea, non potrebbe indicare persona banale. Suo padre Pietro, del resto, era un creativo, un apprezzato pittore, come si può vedere visitando il Pellegrinaio del Santa Maria della Scala, dove, insieme a Giovanni di Raffaele Navesi, dipinse le due scene del “pagamento dei baliatici”. Il bizzarro Pietro doveva essere affascinato dalla classicità, tanto da volerla far riecheggiare nel nome dei figli, battezzati come Achille, Cleopatra, Tullio, Lavinia, Tiberia, Alessandro, Cinzia. Ma quel Passitea risultò per tutti arcano. A meno che il babbo non avesse voluto rievocare una delle Grazie che appaiono nell’Iliade, giustappunto Pasitea, che Era offre in sposa a Ipno per ripagarlo dei suoi favori (aveva fatto addormentare Zeus, in modo che gli dèi potessero aiutare i Greci). Ai biografi della Crogi, però, sfuggì (o volle sfuggire) tale ipotesi riconducibile a suggestioni classiche, e con qualche acrobazia etimologica stabilirono che Passitea significasse “imitatrice della passione di Dio umanato”. Ecco, così, un nome e un destino; anzi una vocazione. Perché Passitea, questo intese fare nella vita.

Un monastero tutto suo La famiglia Crogi abitava in Fontebranda, nel rione in cui il mito di Caterina Benincasa trasudava da ogni pietra. E la figlioletta dal nome strambo ne fu presa fin troppo, almeno a giudizio di mamma Camilla che fece di tutto per dissuadere la ragazzina da pratiche e atteggiamenti mistici, decantandole certe beatitudini che potevano ricavarsi dall’esser pienamente femmina. La singolare diseducazione materna non dette i frutti sperati. Passitea, infatti, fu donna precoce, ma nel mortificare il proprio corpo e nel vagheggiare la fondazione di una congregazione religiosa femminile ispirata alla regola dei cappuccini. L’idea di far nascere un nuovo convento a Siena, non trovò, però, i favori dell’arcivescovo Ascanio Piccolomini: fin troppe erano le comunità religiose e non erano tempi da potersi permettere altri costi. Confidando sulla protezione di alcune famiglie fiorentine, la Crogi, insieme ad altre diciotto consorelle, tentò allora di attuare il suo progetto a Firenze. Nonostante la stima della granduchessa Cristina di Lorena e di Maria de’ Medici, l’impresa fallì pure in riva all’Arno. Fu tuttavia il soggiorno fiorentino (dal luglio 1597 all’aprile dell’anno successivo) a rivelare in Passitea una ulteriore vocazione, quella della diplomazia e del gusto di impicciarsi delle beghe di corte. Al punto che – in forza del suo magnetismo esercitato sui nobili in quanto donna di Dio – intervenne direttamente nelle trattative per il matrimonio di Maria de’ Medici con Enrico IV. Nel frattempo moriva a Siena l’arcivescovo Piccolomini. Il successore Francesco Maria Tarugi si convinse che per quanto folto fosse il popolo delle monache ci poteva ancora stare una nuova congregazione. Così fece rientrare Passitea da Firenze ed emanò (1 gennaio 1597) l’atto di fondazione del convento di Sant’Egidio, successivamente ratificato (21 luglio 1600) dal papa con tutti i crismi della solennità vaticana. Il convento, grazie anche ai sostanziosi contributi delle maggiori famiglie senesi, fu edificato nell’attuale piazza Matteotti (grosso modo sull’area dove oggi si trova il palazzo delle Poste) e arrivava a inglobare la chiesa, sempre esistente, di Santa Maria delle Nevi. Sarebbe stato demolito nel 1910 per fare posto al Palazzo Postelegrafico.

Intrighi con delitto Dunque, clausura, penitenze, preghiere, secondo le rigidissime regole di santa Chiara. Ma, come già detto, Passitea non disdegnò gli intrighi di corte. Così per almeno due volte (1602 e 1609) si recò a Parigi, ospite di Maria de’ Medici regina di Francia. La monachella, di cui era evidente l’ascendente esercitato sulla regina, si guadagnò l’ostilità di quasi tutta la corte. Tanto da non essere ritenuta estranea alla nomina di reggente data da Enrico IV alla moglie. Ma ancora più gravi furono le accuse rivolte alla Crogi quando la si ritenne moralmente coinvolta nell’uccisione dei coniugi Concini, «per la passione che senza alcuna occasione haveva dimostrata et esercitata contro il detto Maresciallo [Concino Concini] e sua moglie, liavendo fatto ogni sforzo per persuadere ed indurre la Maestà della regina a levarseli di torno e mandarli via perché sarebbero la sua rovina e della Francia» (questo si legge in una lettera inviata da un frate cappuccino all’arcivescovo di Siena). Concino Concini venne ucciso a pistolettate nel cortile del Louvre e sua moglie Leonora bruciata sul rogo con l’accusa di stregoneria. Incerte sono le notizie sulla fondazione di un monastero a Parigi da parte di Passitea. Mentre è documentata la nascita di un convento a Piombino ed uno a Santa Fiora, per il quale si adoperò molto la duchessa Eleonora Orsini.

Santa mancata A fermare l’intraprendente Passitea Crogi fu una malattia che la colse nell’inverno del 1615 a Siena, nel suo monastero di S. Egidio, dove morì il 13 maggio di quello stesso anno. Si avviò subito un processo di canonizzazione, interrotto nel 1628 per la morte dell’arcivescovo Petrucci. Agli inizi del secolo successivo i deputati delle cappuccine provarono a far riaprire la causa. L’allora ‘promotore di fede’, il rigorosissimo cardinale Prospero Lambertini (futuro papa Benedetto XIV), avanzò, però, molte riserve. Rilevò in Passitea un eccessivo (ossessivo) zelo penitenziario, quale risulta dalle diverse lettere inviate alle consorelle; ma ad inquietarlo furono soprattutto le bieche ombre che attorno alla monaca senese si allungavano ancora dalla corte di Francia fino al convento di Sant’Egidio. Ombre che inibirono per sempre qualsivoglia fiamma di candela che mai nessuno poté accendere dinanzi a una (mancata) santa Passitea. Chissà quale destino racchiudesse veramente quello strano nome.

 

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