Succiso, Melpignano, Biccari, Fontecchio, Gerfalco non sono puntini sperduti, sconosciuti, all’interno di una carta geografica ma, al contrario, alcuni dei tanti esempi che si stanno affermando e formando per tentare di frenare la deriva dello spopolamento e della conseguente eclissi di moltissimi borghi italiani.

E mentre nelle grandi aree metropolitane si sfidano a colpi di insegne fluorescenti e di pubblicità accattivanti enormi centri commerciali, laddove l’offerta strabordante di beni e servizi aggredisce e raggiunge i cittadini fin dentro le loro abitazioni, stuzzicando e soddisfacendo le loro voglie più recondite, ecco che ci sono altri luoghi, sempre in Italia, ospiti dello stesso cielo, ove, ormai, mancano o peggio, sono stati progressivamente smantellati, i servizi minimi essenziali, quei fattori che determinano e classificano la qualità della vita degli abitanti in un luogo.

Luoghi senza scuole, senza servizi postali, senza sportelli bancari, senza presidi sanitari, senza attività per la vendita di generi alimentari di prima necessità, senza spazi di socializzazione, senza Stato, spesso. Luoghi fantasma insomma. Specchio di un’Italia dove da decenni si è deciso di chiudere i confini del paese poco fuori dai centri storici delle grandi aree metropolitane o delle località costiere per le vacanze d’estate, dove si è confinato il disagio, la fatica di arrampicarsi per strade tortuose e di montagna, la volontà di abbandono, per mere logiche numeriche ed economiche, con la conseguenza di pezzi di paese a sé stessi, con la disperazione e l’impotenza tramutatesi in rabbia dilagante, con l’alternativa di arrendersi o di andare a fondo contrapposta alla speranza e all’ardore di rinascere in sé stessi e da sé stessi.

Le cooperative di comunità sono un po’ di tutto questo. Un nome nuovo, un metodo nuovo per descrivere l’intraprendenza mista a sana follia, il fiero radicamento di cittadini che decidono di autorganizzarsi, riscoprendo il senso di comunità e rinunciando fieramente alla condizione di chi è al di fuori dai radar delle opportunità.

Ecco che gli esempi hanno iniziato a farsi largo e ad uscire dal cono d’ombra dell’anonimato. Succiso, paese di 65 anime nella provincia Reggio Emilia dove agli inizi degli anni ’90 con la serrata dell’ultima bottega gli abitanti rimasti decisero di costituire una cooperativa, la prima cooperativa di comunità sorta in Italia. Oggi Succiso è famoso perché si dice che lì si cambi lavoro ogni giorno e ricercatori da mezzo mondo si arrampicano sugli Appennini per conoscere e studiare il fenomeno.

Melpignano, in provincia di Lecce, dove nel 2011 si è dato vita ad una cooperativa di comunità per la realizzazione e gestione di impianti fotovoltaici diffusi con i proventi dei quali si è riusciti e si riesce ancora a finanziare e realizzare progetti per migliorare la vita dei cittadini.

Oppure Castel Giudice, in Molise, dove con una cooperazione di comunità si è salvata la residenza sanitaria assistita per anziani che la Regione voleva dismettere in quanto improduttiva.

Esempi, tanti, in giro per l’Italia, incastonati tra le montagne o in aree rurali arse dal sole, lontani da tutto e da tutti, perfino da loro stessi, accomunati dalla perdita progressiva delle condizioni minime di vivibilità di un luogo, dalla volontà di qualcuno di spogliare un territorio di servizi essenziali per mere esigenze di profitto ribattezzate più elegantemente piani di riorganizzazione, dalla tenacia dei loro cittadini, da un nuovo welfare in risposta ed in conseguenza dello sgretolamento progressivo di quello tradizionale che conoscevamo e che aveva reso grande il nostro paese.

C’è bellezza in tutto questo, fierezza e volontà di preservare tradizioni e territori ma anche visione e prospettiva, convinzione che il futuro e le future società passino attraverso logiche diverse e siano ammantate da una filosofia di fondo che rimetta al centro basi valoriali distinte e diverse da quelle che stanno sconvolgendo il nostro mondo.

Gli esempi di cooperative di comunità hanno spinto la politica e le varie Regioni a riflettere sul fenomeno ed a predisporre, ormai nella maggioranza di esse, normative che supportassero ed incentivassero tali forme di organizzazione e di gestione di servizi essenziali in comunità marginali e periferiche.

C’è anche la Toscana tra le regioni che hanno prodotto una norma sul tema; si tratta della n. 24 del 8 maggio 2014 “norme per la promozione e lo sviluppo del sistema cooperativo della Toscana”. Alla norma sono seguiti numerosi incontri e convegni per affrontare la questione e sono stati approntati bandi di finanziamento per supportare la costituzione di nuove realtà cooperative o sostenere quelle già esistenti.

Politica e legislazione che hanno cercato di adeguarsi regolamentandola ad una realtà fattuale che, qua e là nel paese, si stava affermando e consolidando, che si era surrogata, sostituendosi, alla dipartita delle condizioni del vivere in molti luoghi.

Da un lato la riscossa di queste comunità, il senso del riappropriarsi dei propri luoghi e la lungimiranza di voler contribuire attivamente a scriverne il futuro ed a preservarne l’esistenza regala enorme speranza per il domani, offre uno spaccato di ritrovata umanità in un mondo dominato dallo strapotere ossessivo dell’io. Dall’altro questi fenomeni spontanei, sorti dalle radici di terre che non si vogliono per nessun motivo abbandonare mettono a nudo le carenze con le quali non si sono offerte risposte a problemi enormemente complessi e la superficialità con la quale si è delegato a mere logiche economiche l’erogazione di servizi primari rendendo profondamente diverse persone che vivono sotto lo stesso cielo.

 

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