De Sade

De SadeSta per essere archiviato l’anno 2014 e con esso anche le carte, i discorsi, le rivisitazioni degli illustri personaggi di cui, in questi dodici mesi, si sono celebrati anniversari a cifra piena. Ultimo, in ordine di tempo, il bicentenario della morte (2 dicembre 1814) di Donatien-Alphonse-François de Sade. Il Divin Marchese che fu costretto a precisare come la propria rovina non fosse attribuibile al suo modo di pensare, ma soprattutto al modo di pensare degli altri. Libertino estremo, paladino dell’illuminismo più radicale, De Sade non ebbe vita facile. E non gli fu facile nemmeno morire, rinchiuso nell’ospizio per alienati di Charenton in quanto “soggetto incorreggibile”, percorso da “costante pazzia licenziosa”. Artefice di tale premuroso ricovero era stato uno zio abate, giunto alla conclusione che il nipote era decisamente folle. Forse perché andava dicendo cose troppo vere. Del tipo: «Sii uomo, sii umano, senza timore né speranza; abbandona i tuoi dèi e le tue religioni; tutto ciò è buono solo per armare la mano degli uomini, e il solo nome di questi orrori ha fatto versare più sangue sulla terra di tutte le altre guerre e di tutti gli altri flagelli messi insieme» (“Dialogo fra un prete e un moribondo”).

Viaggio in Italia La turbolenta esistenza di Donatien Alphonse François registrò anche un paio di viaggi in Italia. Ambedue, più che la partenza di un colto turista, furono piuttosto la fuga di un latitante. La prima volta era accaduto nel 1772, destinazione Venezia, per cercare riparo da una condanna a morte per avvelenamento e sodomia (la sentenza venne eseguita in effigie, allorché fu simbolicamente giustiziato il manichino del condannato). La seconda nel 1775. Il Divin Marchese aveva 35 anni e scappava dalle possibili conseguenze penali di un ennesimo scandalo sessuale che sui fascicoli degli uffici giudiziari portava la scritta “affaire des petites filles”. L’inguaribile libertino, nonostante le difficoltà finanziarie, aveva assunto a Lione una domestica, cinque ragazze e un giovane segretario, per allestire orge (complice la moglie) in una stanza segreta del castello. Da qui il nuovo scandalo, la condanna, la fuga. De Sade, sotto falso nome, si trattenne in Italia per un anno visitando le principali città d’arte. I suoi appunti di viaggio sono raccolti nel libro “Voyage en Italie”. Oggi lo si può leggere nella sua stesura integrale. E insieme alle osservazioni – in verità abbastanza pedisseque – su monumenti, architetture, opere d’arte, incuriosiscono, soprattutto, le osservazioni di costume, certamente non estranee a sensibilità e inclinazioni del viaggiatore francese che in tale circostanza amò definirsi un “filosofo errante”.

L’Italia dei depravati Ecco allora un Italia tanto meravigliosa per le sue bellezze artistiche e paesaggistiche, quanto ributtante nei suoi costumi. Il cuore della depravazione è la Roma papalina con i suoi giri di donne aristocratiche dedite al libertinaggio, cui non risulterebbe estraneo nemmeno il pontefice. Non era da meno la corte di Napoli, con Ferdinando IV e Maria Carolina che si contendevano (o condividevano) a letto la bella Sara. Tra realtà, pregiudizi, fantasie ed esperienze dirette che non si fece mancare, il Marchese troverà in Italia diversi spunti per il suo romanzo erotico “Histoire de Juliette”. Si pronuncerà da fustigatore lamentando come il popolo italiano fosse indegno dell’eredità ricevuta dal passato. Italiani niente affatto brava gente – dirà. Sono superstiziosi, ingenui, bigotti. Hanno utilizzato i materiali dei templi antichi per costruire chiese. Da convinto ateo, per lui la vera arte era quella ispirata dalla ragione e non quella scaturita dal sentimento religioso. Dunque, impossibile capire il Medioevo da parte di De Sade, il quale, non a caso, considererà arte solo quelle espressioni che partivano dal Rinascimento in poi.

Firenze città fosca Il 3 agosto del 1775 Donatien Alphonse François giunge a Firenze. Annota che la città risulta fosca, i suoi abitanti sporchi, corrotti, protagonisti e vittime di un imperante disordine morale. Dietro le spesse mura dei palazzi nobiliari si nascondono misteri e consumano sfrenatezze. Le pietre pericolosamente sconnesse della pavimentazione divengono una sorta di metafora della corruzione diffusa. Sempre a detta del Marchese, a Firenze c’è anche un opprimente “mal’aere”, causa di morti improvvise, nonché della bruttezza di donne e uomini. Persino l’arte pare testimoniare (e ispirare) libertinaggio. Basti osservare, agli Uffizi, la Venere del Tiziano o le statue dell’Ermafrodito e del Priapo. Descrizioni, poi, che De Sade riporterà proprio in “Juliette”, laddove la scrittura può abbandonare i pudori del taccuino di viaggio e farsi maggiormente (ed eroticamente) più esplicita.

Nella patria della lingua pura Lascerà Firenze il 21 ottobre alla volta di Roma facendo tappa a Siena. Nella tarda mattinata del giorno successivo arriva nella città del Palio e prende alloggio all’Albergo ‘Tre Re’. Le prime osservazioni che troviamo scritte nel diario di De Sade sono di sorpresa, circa il fatto che questa città sia ritenuta patria della lingua pura. Boh – si chiede il Marchese – è pur vero che le arti e le scienze fioriscono all’ombra del silenzio, ma spetta alla folla e al gran mondo il compito di coltivarle… E Siena è per la Toscana quello che sono Beauvais o Nantes in confronto a Parigi. Dunque, per quale ragione la lingua più pura non è parlata nella capitale, ma relegata in una città pressoché disabitata, che fino al 1321 era immersa nell’ignoranza e che solo da una ventina d’anni possiede una biblioteca pubblica? La domanda resterà sospesa nell’aria che – comunque e magari più della lingua – “è pura”. Dolce il paesaggio che si apre sulla campagna e amabili gli abitanti. Un posto così tranquillo che non c’è da stupirsi se molte persone vi si stabiliscono. Abbastanza scontati gli apprezzamenti sulla Cattedrale («magnifica e piena di bei monumenti») e sul suo pavimento («stupendo mosaico, assai originale»). Altrettanto «originale» è definita la facciata «per la minuziosa cura dei particolari che la caratterizzano». Non sfugge al viaggiatore l’antico gruppo marmoreo delle ‘Tre Grazie’ posto al centro della Libreria Piccolomini, «mutilato tuttavia e prezioso». Ma niente di… sadico viene aggiunto a commento dei tre nudi femminili. Lo sguardo si limita a scrutare il tipo di marmo con cui si erano plasmate le apprezzabili rotondità.

Naumachie sul Campo In piazza del Campo l’immaginazione del francese prende, invece, l’abbrivo. Gli appare curiosa quella forma a conchiglia («è stata costruita così per la conformazione stessa del terreno?»). Poi gli piace pensare che sia stata studiata in tal modo per poterla riempire d’acqua e allestirvi giochi di battaglie navali. Lo spettacolo sarebbe notevole – osserva – con tutto il pubblico lungo quella «striscia piatta di terra percorsa dalle carrozze». Tranchant, invece, il giudizio sul santuario di santa Caterina («chiesa molto semplice, anzi alquanto brutta») e sul culto legato a alcune reliquie, come i mattoni che servivano da cuscino alla santa, rivestiti d’argento («bisogna pur dare un ché di meraviglioso a certe cose!»). De Sade lascerà Siena e «la tranquillità che vi regna» dopo due giorni. Viaggiatore in contumacia, proseguirà il suo tour in Italia (o come qualcuno ha insinuato: contro l’Italia) ricavandone pensieri, sensazioni, congetture. Talvolta con acume, altre con superficialità. Anche ai trasgressivi può accadere di cedere alla banalità.

 

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