La gazzarra parlamentare sull'approvazione del decreto Bankitalia (associato a quello sull'IMU) ha avuto, come effetto positivo, almeno quello di scatenare la discussione sulla riforma dello statuto della nostra banca centrale, con posizioni molto nette prese in questi giorni da politici, economisti e semplici appassionati. Come ho cercato di argomentare (leggi), io ritengo che la riforma non possa essere ritenuta un “regalo” alle banche, come da molte parti si vuol far credere, anche se presenta aspetti controversi e senz'altro discutibili, pur se di natura meramente tecnica tali da dividere anche gli esperti del settore.
 
Per fare un esempio a sostegno della mia tesi, che penso stia a cuore ai lettori di questo blog, discuterò l'effetto del provvedimento sulle quote detenute da MPS. MPS detiene, dal 1936, il 2.5% delle quote di Bankitalia; una percentuale piuttosto ridotta che riflette l'assetto societario dell'epoca.

Grazie al provvedimento, queste quote ora devono essere messe a bilancio per un valore di 187,5 milioni. Soprattutto, le quote aumentano il capitale di accantonamento della banca, il che rappresenta una sostanziale boccata di ossigeno in vista del rispetto dei requisiti di capitale previsti da Basilea 3. Qualcuno tirerà fuori questi soldi? Assolutamente no! Le quote erano già calcolate nel bilancio Mps, e non certo al valore del 1936 (pari a 3900 euro) ma, secondo il Bilancio 2012, al valore di 432 milioni. Dal punto di vista della valutazione, quindi, Bankitalia è stata meno generosa dei redattori del bilancio del Monte. Mps, dal canto suo, ci perde dal punto di vista del bilancio (dovrà contabilizzare 187,5 anziché 432), ma ci guadagna dal punto di vista dei requisiti di capitale, visto che quei 432 milioni (ora 187,5) non potevano essere contabilizzati nel capitale “buono” della banca, un vero paradosso visto che è difficile immaginare capitale di qualità migliore di quello garantito dalla Banca d'Italia. Va aggiunto che Mps dovrà versare al Tesoro, per questa operazione, 22mln circa di tasse (Un mio amico e collega mi fa notare che il calcolo delle tasse potrebbe in realtà essere calcolato sulla plusvalenza rispetto a quanto messo in bilancio, e non rispetto al valore storico. In tal caso, le tasse che MPS dovrebbe pagare sarebbero nulle): il 12% della plusvalenza (rispetto al 1936). Dal punto di vista della partecipazione, il limite del 3% è ininfluente, in quanto Mps detiene di meno; potrà però acquistare ulteriori quote dalle banche che sono costrette a vendere, come Intesa e Unicredit.
 
Proprio per rendere più chiaro il provvedimento, il Dipartimento di Economia Politica e Statistica dell'Università di Siena, ha organizzato un dibattito pubblico mercoledì 12 febbraio alle 14.30, nell'Aula 9 dei locali di Piazza S. Francesco 7, in cui interverremo io e il collega Massimo D'Antoni. Sarà un bella occasione di approfondimento, durante la quale saremo lieti di rispondere alle domande di chi vorrà gentilmente partecipare.

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Docente di matematica finanziaria all'Università di Siena