paneA volte mi sorprendo ancora a pensare quanto sia profondo, indispensabile e antico il legame fra gli esseri umani e la cucina. Un  sodalizio che il tempo non intacca, ma fortifica e che si spiega solo attraverso la nostra umanitá, intesa come appartenenza al genere homo sapiens. Tutto il pianeta si nutre, solo noi cuciniamo. Tutto il pianeta mangia, solo noi scriviamo ricette, libri, opuscoli e spiegazioni su come rendere più appetibile ciò che giá  è commestibile naturalmente. C’è persino chi ci tiene un blog su cucinare e dintorni!  Forse mai come in questi anni si è parlato, scritto e pure filmato la preparazione dei cibi, al punto che molti provano anche un po’ fastidio per tutto questo, stanchi di chef che fanno le star televisive e star televisive che fanno gli chef, ma alla fine ci ritroviamo sempre affascinati dal vedere come uova, acqua e farina si trasformano in tagliatelle o un pezzo di pasta lievita e diventa un disco bianco di mozzarella, rosso di  pomodoro e verde di basilico. Nessuno, nemmeno il più riottoso dei detrattori gastronomici può sfuggire al potere magnetico di un pasticcere che prepara i macarons o di una cuoca che affetta le verdure per una caponata. La riprova di questa affermazione l’ho avuta qualche giorno fa in un vecchio forno di paese, di quelli in cui ancora si intravede il retro bottega, dove un vero fornaio lavora la notte per impastare e mettere a cuocere il pane di domani. Una poesia, insomma. Quando sono entrata nella suddetta bottega, prima di me c’erano alcune persone che giá aspettavano per essere servite, quindi, dopo aver scannerizzato con la mia vista bionica l’offerta del giorno (sono un po’ miope ed ero senza occhiali: per leggere le targhette sulle ceste del pane mi sono dovuta avvicinare tanto), mi sono ritrovata proprio davanti alla porta del laboratorio. Era socchiusa. Lo so, non sta bene e non si fa, ma ho sbirciato. Dentro c’era Il Fornaio che preparava teglie di panini e schiacciata, probabilmente l’ultima infornata del giorno. Semplici semplici, senza semi, pomodoro, olive, papaveri, fiori, frutti e noci. Schiacciata e panini classici. Spennellati di olio e via in forno. Sono rimasta incantata a guardare quelle sue mani forti e decise come due tenaglie che volavano leggere dalla spianatoia alla farina, dalla pasta di pane alla spianatoia e poi via alle teglie e ancora un tuffo nella pasta per riemergere con una pallina bianca che in un lampo diventava un panino. Due farfalle pazze e gioiose sopra un mondo di pane. Ma la vera sorpresa è stata quando mi sono girata per andare a comprarlo, il pane. Avevo fatto la fila, sí, ma dietro di me. Erano tutti lí a guardare il fornaio che lavorava  come avevo fatto io. E, non me ne voglia questo maestro del pane, non perché fosse particolarmente avvenente. Mentre lo era, e molto, quello che faceva. Caposaldo delle nostre tavole giá dai tempi dell’Ultima Cena, il pane ci accompagna quotidianamente, come invoca il Padre Nostro, nelle scorribande alimentari fuori casa e nella quiete confortante dei pasti consumati in famiglia. È una presenza rassicurante, un simbolo potente del nostro essere in vita e una fonte confortevole e sicura di nutrimento.In cucina è un jolly portentoso: sta bene con (quasi) tutto e si presta a gustose trasformazioni quando diventa secco, dalla pappa col pomodoro alla minestra di pane passando per la panzanella fino alle torte fatte col pane. Può essere ricercato e pure di lusso, certi pani sono cosi pregiati che costano quanto il caviale, ma anche molto alla buona. In breve, è il fratello maggiore (o buono, o geniale, o affezionato, insomma ce lo avrete presente come dovrebbe essere un fratello, no?)  che ti salva in ogni situazione. Il mio ultimo ringraziamento al pane di casa nostra, senza sale e ben cotto, è di poche settimane fa. Situazione con ospiti imprevisti che capisci sarebbero contenti di prolungare la domenica pomeriggio con una cena di domenica sera, prospettiva che in fondo piace anche a te, ma sei appena tornata da qualche giorno di vacanza e la spesa era rimandata a lunedí quindi la dispensa langue piú del dovuto. Allora che fare? Inventario delle materie prime. Un filone di pane secco, le proverbiali sei uova, la pasta, che quella c’é sempre, e qualche busta di affettato che vive nel frigo per le emergenze. La pasta ok, con aglio, olio, peperoncino e il pecorino portato a casa dalle vacanze è perfetta, ma gli affettati col pane secco…. E allora? E allora, per accompagnare fratello pane sia benedetta sorella padella che ha prodotto una trionfale vassoiata di pane fritto con cui ho felicemente sfamato tutti. Anche me.

La ricetta Magari viene bene anche con qualche altro tipo di pane, però non ho mai provato, quindi per fare il pane fritto, che in fondo è parente stretto dei coccoli e per questo sta così bene con gli affettati, uso sempre il pane toscano. Si tagliano delle fette di circa un centimetro di spessore e si lasciano a rinvenire nelle uova  sbattute con una presa di sale, una spolverata di pepe e, se il pane è molto secco, un mezzo bicchiere di latte. Dopo un paio di minuti di immersione, si mettono le fette in una padella grande, coi bordi alti e  olio ben caldo, si friggono circa due minuti per lato e si stendono sulla carta assorbente prima di portarle in tavola. Si possono guarnire con una spolverata di prezzemolo sia prima sia dopo la frittura oppure con una di Parmigiano grattugiato finissimo, cosi che il calore del pane fritto appena tirato fuori dalla padella lo faccia fondere . Un piatto povero, ma ricco di gusto.

 

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