«Sono un italiano medio, torno a casa dallo stadio. Da domani son precario, per fortuna Totti ha fatto un gol». Recita queste parole la canzone “Goal” di Baccini. Anno di uscita, guarda il caso, il 2006. Un’annata in cui le urne portarono allo stesso risultato di questo 2013. Centosinistra che, sulla carta, vince ma che non può governare. Ieri Prodi, oggi Bersani. Una grande e sostanziale parità con Berlusconi e il centrodestra. Un paese ingovernabile a cui oggi si aggiunge la mina impazzita Grillo e i seggi – pochi, molto meno delle previsioni – accaparrati da Monti e dala Scelta Civica. Tutti commentano il risultato come «soddisfacente», ignari che la campagna elettorale è finita e che, certe balle, se le possono risparmiare per quando – credo abbastanza presto – saremo chiamati ancora alle urne. La canzone con cui ho aperto dice una grande verità: l’Italia è un paese strano, che si accorge dei suoi problemi solo quando la drammaticità dei fatti non le permette più di distogliere lo sguardo. Unita e coesa solo quando in campo c’è la Nazionale azzurra. Per il resto siamo il paese delle frazioni, delle campane, delle ideologie, delle appartenenze. Una nazione che vota con la pancia non necessariamente con la logica. Da oggi, un’Italia sbaragliata sul piano politico da un sentimento di ribellione totale che ha portato il Movimento fondato da un ex comico ad essere il primo partito nazionale. Mi riferisco al M5S, non alla coalizione guidata dal PdL il cui leader, “tragicomicamente”, continua ad avere un discretissimo appeal sull’elettorato dello Stivale. Brindano i grillini, soddisfatti i montiani, non perdono i pidiellini ma non vince nemmeno il centrosinistra. Il Pd, per l’ennesima volta, è il grande sconfitto. Incapace di leggere e di interpretare quell’idea di cambiamento e di rinnovamento che l’Italia gli chiedeva con l’exploit alle primarie di Matteo Renzi e che poi si è tradotto in quella Piazza San Giovanni a Roma, luogo storico della sinistra italiana, gremita per Beppe Grillo. Il Pd è rimasto ancorato a quelle ideologie e a quelle facce, a quelle logiche autarchiche e autoreferenziali di partito, vecchie e vetuste, che l’Italia da tempo dimostra di non volere più. I D’Alema, le Rosy Bindi sono l’incarnazione di chi guarda solo al proprio recinto, cercando di mantenere precari equilibri interni che hanno reso schiavi gruppi dirigenti dello stesso Pd a più livelli. In Italia come nelle sezioni regionali, provinciali e comunali: in molti da oggi recitano un amaro quanto inutile mea culpa. Nessuno vince, l’Italia torna ad essere «nave sanza nocchiere in gran tempesta» (Dante, “Purgatorio”, VI): un popolo "ingovernabile". Era dai tempi del Liceo e dell’irrequietezza di quella sezione A che non mi rimbalzava in testa questa parola. Ma lì ci potevo ridere e scherzare. Oggi, drammaticamente, l’esito delle urne incombe come una spada di Damocle sul futuro della mia generazione. Incerto, cupo, nero: le zero prospettive che un “infratrentenne” vede di fronte a sé oggi, sul dizionario non trovano terminologie adatte a descriverne la gravità.

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