apericenaC’è una parola che imperversa, in queste ore di immediata vigilia. Non è una parola che ha a che fare con il calcio, tipo pressing, ripartenza o diagonale. E’ “Apericena”. Uno di quei neologismi che ogni tanto si inventano per inglesizzare qualcosa: in questo caso, l’Apericena dovrebbe essere quella terra di nessuno che sta tra la merenda e la cena. E siccome “spuntino” suonava male, lo hanno infiocchettato. Apericena, ma anche appetizer, afterhours, spritz.

L’Italia gioca alle sei del pomeriggio, e i locali si sono attrezzati: Apericena, più partita.

Funzionerà. Perché Apericena è termine brutto, ma dinamico. E’ il parente prossimo del “seguirà buffet” che si scrive in calce ad ogni presentazione libro o inaugurazione mostra; però rende l’idea. E soprattutto, è al passo con i nostri tempi, dove l’evento va celebrato, ma deve associarsi anche a qualcos’altro.

E’ addirittura la consapevolezza di come il Bar sport sia diventato qualcosa di diverso come teorizzava Luigi Oliveto in uno splendido intervento su questo blog:  un luogo dove il grande evento non è più centrale… Diventa un mezzo e non un fine (leggi).

Come se la partita (meglio se importante) non fosse altro che un pretesto per stare insieme, per ritrovarsi con gli amici e, magari,  piluccare qualcosa. E ci sono anche le immancabili Pro-Loco che irrobustiscono il concetto, e propongono memorabili grigliate nel dopopartita: pietanze robuste e virili, in quel caso, e senza la mediazione di pentole e padelle… Che il calcio (si diceva una volta) non è sport da signorine.

Mi piace questa cosa. Non la trovo affatto sacrilega. Come mi piacciono tutte le occasioni che ci aiutano a socializzare un po’, a stanarci dalle case, a ridere insieme in tempi così poco da ridere… Il calcio serve anche a questo: a contare gli anni, e a fornirci qualche bel ricordo da custodire…. Tipo l’amico che hai abbracciato per primo dopo il rigore di Grosso, nel 2006.

Sia benvenuto il popolo dello spritz, dunque. E tutti i fans dell’Apericena… Quella massa variopinta di persone che non sono tifosi ma lo diventano una volta ogni quattro anni (ogni due, se si contano gli Europei). Ci coloreranno il mondiale e ci ricorderanno che non vale la pena prenderci troppo sul serio. Mi strapperanno un sorriso, come quelli che mi strappava mia nonna: « Mazzola? Com’è che non hanno chiamato Mazzola?», protestava.  E Mazzola aveva smesso da vent’anni.

Li guarderò mentre guardano divertiti l’Italia che si gioca il Mondiale e nel frattempo divorano tartine e pasta fredda, tramezzini e crostini con salse colorate. E penserò a quei disperati come me, che gli si chiude lo stomaco per un normale Sampdoria-Chievo. E quando danno il derby in notturna, si addormentano alle quattro per smaltire tutta l’adrenalina che hanno accumulato.

Li guarderò. E proverò un po’ d’invidia…

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