ciboUna volta mi sono comprata una maglietta con sopra una scritta che mi sembrava un buon viatico: “Nella vita ci sono molti amori, solo uno, grande passione”. Quando l’ho comprata, immaginavo che l’obiettivo fosse vivere secondo quel concetto oppure verificare se fosse vero. Qualche anno dopo, cioè adesso, posso solo dire che non so ancora se sia vero o no, perché per fortuna non sono sul punto di dipartire da questa valle di lacrime nella quale per altro piango con un certo piacevole trasporto, e quindi è presto per fare bilanci definitivi.

Quello che so per certo, invece, è che almeno la prima parte della frase è vera: nella vita ci sono molti amori. Dove molti, secondo me, sta per diversi nel modo e nella sostanza, ma pur sempre amori. Il mio cane è uno dei miei amori. E cosa c’entra con questo blog? C’entra, c’entra. Il mio cane è una creatura amabile, piccola e dolcissima. È uguale a Lilly di “Lilly e il vagabondo” ma maschio e molto più simpatico. Però, a differenza di Lilly che per mangiare un piatto di spaghetti ci mette dieci minuti, ha un pessimo rapporto col cibo. Non lo mangia, lo divora. Adora la carne cotta o cruda che sia, ma per motivi di stomaco iper-delicato non può mangiarla se non raramente, cioè quando riesce a impietosirmi guardandomi con i suoi occhioni languidi. Ebbene, quando riceve uno di quei bocconi tanto agognati non li mastica nemmeno. Li ingoia e via, come se avesse preso una pasticca di vitamina B, amara e puzzolente. Quando lo vedo perdersi tutto il buono di ciò che brama così intensamente, mi viene spesso da pensare che anche la maggior parte di noi fa come il mio cane: a tavola e in altri luoghi della vita finiamo per perderci il buono perché corriamo sempre e dobbiamo essere altrove subito dopo. Certo, Slow Food ci ha pensato 30 anni fa a mettere una pezza a questa situazione, però ho la sensazione che la lezione si stia un po’ perdendo a vantaggio della conservazione e promozione di prodotti, comunque da tutelare, che però finiamo per consumare a velocità supersonica.

cibo2Il demoniaco incalzare della fretta ci toglie il piacere della lentezza anche al ristorante. Ieri ero a pranzo con una cara amica e volevamo gustarci il nostro tempo insieme quindi siamo andate a mangiare fuori, dove nessuna delle due fosse distratta dai compiti della cucina e potesse dedicarsi completamente all’occasione. Telefonini spenti e orario giusto, quindi abbastanza presto per non dover rientrare per gli altri compiti quotidiani. A rovinare la festa ci hanno pensato i camerieri: quando abbiamo detto che non volevamo il caffè, hanno cominciato a venirci a chiedere e richiedere e richiedere ancora se volevamo altre cose, tanto che persino un distratto cronico avrebbe capito che era il momento di andare perché il tavolo serviva per altri clienti. E noi ce ne siamo andate. E per dispetto abbiamo preso il caffé sedute in un bar.

Il 2016 è avviato, anche lui a velocità supersonica, verso la sua fine e per i propositi dell’anno nuovo sono appena in tempo. Il mio è di vivere più lentamente a cominciare dai pasti consumati a casa o, peggio, al ristorante. E il vostro ?

LA RICETTA Per l’elogio della lentezza e della necessità di assaporare il cibo lentamente come la vita, ho scelto un piatto che non si può né preparare né mangiare in fretta: il petto d’oca all’aceto balsamico e cipolle confit. Pulite e affettate le cipolle con uno scalogno e fatele imbiondire in una casseruola con l’olio e il burro quindi aggiungete l’aceto balsamico e fate ridurre e a fine cottura unite il miele e poi spegnete la fiamma. In una padella dal fondo spesso versate un giro d’olio e disponete il petto d’anatra inciso a scacchiera mettendo la parte con la pelle a contatto diretto con la padella. Cuocete per una decina di minuti. Scolate il grasso che si sarà formato e cuocete il petto d’oca girandolo dall’altra parte per altri 5/6 minuti: deve restare tenero e rosato all’interno. Fate intiepidire quindi tagliate il petto a fettine e impiattate guarnendo con le cipolle confit e la salsina al balsamico.

 

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