Juan Pablo Carrizo, secondo portiere dell'Inter
Juan Pablo Carrizo, secondo portiere dell'Inter
Juan Pablo Carrizo, secondo portiere dell’Inter

Temo che Mancini, da piccolo, non sia stato un grande collezionatore di figurine.

Lo fosse stato, si sarebbe risparmiato quella favolosa, inenarrabile, scintillante leggerezza che forse lo sbatte fuori dall’Europa League (obiettivo numero uno dell’Inter, a sentire le dichiarazioni).

Sarebbe bastato, infatti, dare un’occhiata a un qualunque album Panini degli anni 70-80 per capire che il cosiddetto “secondo portiere”, nel calcio, non può giocare mai.

E’ un’entità astratta.

Una fenomenologia.

C’è il “primo portiere”, che in genere si chiama Dino Zoff (o Luciano Castellini), e gioca un miliardo di partite consecutive. Poi c’è il  cosiddetto “secondo portiere”, ma nessuno lo vede mai: in genere ha nomi misteriosi e lussureggianti (Piloni, Alessandrelli, Moriggi, Reginato, Pasquale Fiore), e lo status di “secondo portiere” ce l’ha scritto anche sulla carta d’identità, alla voce “professione”.

Ebbene, questi non devono mai scendere in campo.

Il loro destino è di essere lì a far figura, al massimo come sparring partner durante gli allenamenti. Trascorrono carriere intere in panchina, con l’unica mansione di aggiornare sui risultati che arrivano dalla radiolina (questo era il compito di Luciano Bodini, nella Juve del Trap). Raccontano di Albertosi, che ebbe un certo Rigamonti come secondo per diversi anni al Milan.

«Ma questo qua, potrebbero anche cederlo…» gli dissero

«Eh no… -rispose Albertosi- perché è un fenomeno allo scopone, e facciamo coppia fissa. Quando siamo in ritiro, tiriamo su un sacco di grana…»

Il secondo portiere non gioca mai.

Punto.

Non gioca nemmeno quando il titolare si sfascia un ginocchio e bisogna sostituirlo per il resto della stagione: in quel caso (tipico anche dei dilettanti), lungi dal dargli fiducia se ne va subito a cercare un altro: magari uno svincolato, ma non il secondo portiere. Che secondo portiere rimane, perché affidarsi a lui vuol dire morire.

Adesso va di moda farli giocare, regalare contentini (con i risultati di ieri sera). Questione di “autostima”, dicono, come se per l’autostima non bastasse l’assegno a fine mese (che anche un secondo portiere percepisce). E non è questione di cinismo: è piuttosto una legge incontrovertibile del football, e il portiere è forse il ruolo dove bisogna usare più attenzione e delicatezze.

Giovanni Galli, a fine carriera, piantò una grana al Parma che gli aveva promesso di farlo giocare almeno in coppa Uefa… Quando però cominciarono ad arrivare le partite più importanti, dopo la trafila con cipriote, maltesi e lussemburghesi, il vecchio campione tornò in panchina, e se la legò al dito. Ebbe dichiarazioni di fuoco verso la società e il tecnico, parlò di mancanza di rispetto e di professionalità mortificata…. Purtroppo si dimenticò di aggiungere che quel Parma vinse la Coppa Uefa. E lo fece anche grazie alle parate di Bucci, che era il portiere titolare.

Regalate a Mancini una figurina di Piloni.

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