Dopo la decisione di rinviare l'aumento di capitale a maggio, decisa dall'Assemblea dei soci su spinta decisiva della Fondazione Mps, non sembra esserci stato null'altro da rilevare. Acqua cheta, e si sa come va a finire il proverbio.
 
Io partirei da un dato: la Fondazione ha avallato, quasi completamente, il nuovo piano industriale proposto dai vertici della Banca, condividendone quindi fattualmente gli obiettivi e le metodologie proposte per perseguirli. Il “quasi” sta tutto nel momento scelto per l'aumento di capitale: la Banca aveva proposto gennaio, la Fondazione ha deciso di rinviare a giugno.
 
Che conseguenze ha il rinvio? Sicuramente, almeno una: la perdita secca, da parte della banca, di circa 200 milioni di interessi di Monti Bond, pari al 10% del valore delle azioni MPS. Una perdita che coinvolge tutti gli azionisti, e in particolare la Fondazione stessa che ha deciso il rinvio, e che detiene 750 milioni circa di patrimonio. Autolesionismo? Non lo possiamo pensare. Evidentemente la Fondazione ritiene che sia meglio perdere il 10% del valore (per lei, e per tutti gli azionisti) ma guadagnare 6 mesi di tempo, da utilizzare per rendere più semplice l'aumento di capitale (secondo un'interpretazione benevola) o per permettere l'ingresso nelle trattative di soci a lei più graditi (secondo un'interpretazione più maliziosa).
 
Proprio questi 200 milioni persi dalla Banca con la decisione di rinvio spingono alcuni osservatori a ritenere possibile un'azione legale della Banca nei confronti della Fondazione, a tutela degli azionisti di minoranza. Un tale conflitto tra i due istituti, che fino alla deflagrazione recente avevano proceduto sempre nella stessa direzione, fino al punto da risultare praticamente indistinguibili, sarebbe a mio parere da scongiurare: risulterebbe in altro valore perso, in una situazione vicina alla catastrofe. Valore che verrebbe perso da tutti gli attori partecipanti: la Banca, la Fondazione (che ha l'intero suo patrimonio investito in azioni della banca), i contribuenti che aspettano la restituzione dei Monti Bond, gli azionisti che vedrebbero ancora deprezzati i loro investimenti. Tuttavia, il conflitto non è impossibile: prima dell'aumento di capitale, entreranno in gioco tutte le lotte politiche e le ambizioni personali, rendendo più difficile la soluzione del groviglio, e il primo appuntamento per una possibile sfida è il CdA del 14 gennaio. Bisogna anche aggiungere che tale conflitto, dal punto di vista della governance, sarebbe stato salutare in tempi più tranquilli. Siamo a questo punto proprio perché la Fondazione si è allineata alla Banca (o il viceversa) così tanto da rinunciare al proprio ruolo di vigilanza e di difesa di un patrimonio che avrebbe dovuto riversare sulla provincia di Siena. Paradossalmente, il tempo buono per le contrapposizioni è ormai passato e oggi sarebbe meglio evitarle.
 
Occorre sperare che tutti si attengano, con ragionevolezza, al loro ruolo. Anche se le ragioni di conflitto e di rivalsa sono tante da tutti i fronti, è necessario che chi può intervenga a gettare acqua sul fuoco. Non ci sono solo gli azionisti da difendere, ma anche i dipendenti.

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Docente di matematica finanziaria all'Università di Siena