La storia di Fabiana Luzzi, giovanissima lasciata un'ora tra i rovi a morire non può lasciarci indifferenti. E penso che le molti reazioni di psicologi e opinionisti che si gettano nella moda del momento, costituita dal parlarsi addosso sul tema del «femminicidio» non produrrà molti effetti.
Ancora più disastrosi rischiano di essere i commenti di «anziani» psicologi che su testate nazionali danno parte della colpa del gesto ai videogiochi violenti. Ancora un pò e qualcuno incolperà gli «anime» giapponesi. Queste sono opinioni di una generazione vecchia lontana anni luce dalla realtà attuale. Sono centinaia di milioni i giovani che giocano con videogames violentissimi. Che sono un modo innocuo per sfogare un agonismo sempre presente nell'animo umano e non solo. Sono come uno sport, ma più moderno e forse in certi casi più completo. Il problema vero è quello di una generazione di giovani cresciuti senza esempi e con genitori addentro ad una società che non ha più trasmesso quegli insegnamenti che invece ha ricevuto. Il problema dei giovani e della violenza alle donne, non è certo in un maschilismo di ritorno. Anzi, forse i troppi distinguo di generazioni femministe non hanno fatto che alzare muri. La verità è un'altra, ed è vecchia quanto il mondo: l'essere umano è maschio e femmina. E i due sono complementari, così come alla loro armonia è legata la felicità dell'umanità. Anche Dio, che è Creatore, è Padre e Madre. In più è pure Figlio, un «logos» che è amore e unità. Ma l'amore come lo si esprime? Forse con la cultura del possesso a tutti costi, così cara alla nostra generazione di individuo dai soli «diritti»? Probabilmente occorre riscoprire la cultura del limite e la cultura del dono. L'uomo saggio conosce il limite, di sè stesso e pure del Creato e non possiede l'altro. Per ciò l'altro è sempre un «dono», non un «diritto». Per molti secoli, l'uomo europeo, forse con più difetti di oggi, delle poche cose che sapeva, alcune erano essenziali. Prima fra tutte il rispetto della vita. La dimensione religiosa, nella vita pubblica, dove c'è sopra sempre un Dio come Padre, come nelle società cristiane, crea di più di un'uguaglianza di fatto. Crea la condizione per la vicinanza tra uomo e uomo, tra donna e donna, tra uomo e donna. L'altro non è più «altro» ma fratello, sorella. Solo se c'è un Padre alla base si può dire questo. Anche per chi non ha il dono della fede, queste basi che sono umanamente eterne sono un toccasana per la vita pubblica. Riscopriamo, sopratutto noi italiani le nostre tradizioni, scrigni di saggezza per la vita quotidiana. Il ruolo di Maria, capolavoro divino, sta ad insegnarci che senza il ruolo della donna è perso anche l'uomo. Reimpariamo, anche osservando gli sguardi dei capolavori della nostra arte rinascimentale, un atteggiamento dall'animo grande. E mostriamolo ai nostri ragazzi, affinché, innamorandosi di cose «alte», disprezzino le bassezze e le durezze di cuore.

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