Scaramelli-valentiniC’è una nuova, ulteriore, coppia di separati in casa nel Pd senese: Valentini-Scaramelli. Che stavano insieme, solo per “interesse”, ormai era chiaro da tempo. Il sindaco, che oggi – lunedì 8 giugno – monopolizza la cronaca di Siena de La Nazione,  stavolta replica a chiare note al consigliere regionale neo-eletto a suon di record: «Non si è mai visto un consigliere regionale che lancia diktat e ordina cambi di assessori: la giunta la decido io. Scaramelli – aggiunge il sindaco – ha ottenuto valanghe di preferenze ma questo non fa di lui il padrone». Ma poi, Valentini aggiunge una frase sibillina, rispetto ai mutamenti di giunta, sollecitati da Scaramelli: «Spero che questa irrituale richiesta non sia la contropartita di accordi elettorali». A cosa si riferisce Valentini? Sarebbe bella la chiarezza. Che fosse lo stesso sindaco a dirlo a chiare note. E invece, si lascia trasparire, si sussurra senza dire, come nella migliore tradizione del “chi c’è dietro”, sempre in voga a Siena. Cosa vagheggia, dunque, Valentini, senza dirlo? Semplice, come tradizione del Pd senese, quando lo si ritiene opportuno si ritirano fuori i tabù rappresentati dai “capi” storici, Ceccuzzi e Monaci. Facendo loro indossare i panni dei suggeritori occulti o degli spalleggiatori di questo o quel rottamatore di turno. Stavolta Valentini sibila di accordi elettoralistici fra Scaramelli e Alberto Monaci, che spiegherebbero anche – secondo i sussurratori di questa tesi – l’ottimo risultato su Siena città del recordman di preferenze.

D’altronde su Valentini, in senso opposto, pesa la considerazione diffusa, che appena eletto sindaco sulla base di due campagne elettorali (primarie e amministrative) in cui si era posto come come contraltare di Ceccuzzi, vista la vicinanza della stragrande maggioranza del gruppo consiliare del Pd, e del partito della città, al “capo storico” Ceccuzzi, il sindaco della “rivoluzione dolce” si sia troppo addolcito.

Valentini è sempre stato piuttosto silenzioso rispetto ai diktat dell’Unione Comunale, arrivati perfino all’inoltro di una lettera al Prefetto da parte del capogruppo Carolina Persi e altri consiglieri ritenuti vicini a Ceccuzzi, in cui sul Santa Maria della Scala, venivano fatte pesanti accuse omissive al primo cittadino espressione del loro stesso partito. Il sindaco è stato tenuto sotto scopa, insomma, dal partito della città e dal suo gruppo consiliare, senza reazioni percepibili. Ha detto no a chiare note solo in una circostanza. Quando il Pd della città voleva la testa del vicesindaco Fulvio Mancuso: «Chi attacca Mancuso attacca me» disse Valentini a Siena tv. E tutto sommato la replica a muso duro a Scaramelli, si muove nella stessa logica: Scaramelli ha attaccato soprattutto Mancuso, chiedendo il rimpasto di giunta. E Valentini reagisce, lasciando anche trasparire sotto traccia, un legame fra Scaramelli e Monaci.

Insomma, in una nuova e aggiornata edizione, pur con tutte le diversità del caso, tornano i dualismi.  Scaramelli (e alleati) contro Valentini (e alleati). Se ci fosse di mezzo una visione della città e della provincia opposta, sarebbe un bello scontro. Se invece si trattasse solo di scaramucce ai fini di poltrone in giunta o di posti nella segreteria provinciale del Pd, allora anche l’attenzione di questo post sarebbe sprecata. Parecchio.

Novembre  2012: i quattro sindaci senesi al fianco di Matteo Renzi
Novembre 2012: i quattro sindaci senesi al fianco di Matteo Renzi

È passato indubbiamente tanto tempo dal novembre 2012, quando Valentini e Scaramelli se ne stavano abbracciati, avvinghiati a Renzi, nella foto “storica” dei quattro sindaci senesi che parteggiavano per il rottamatore – mentre tutto il partito senese era con Bersani – insieme a Roberto Bozzi, ed Emiliano Spanu. Gli eroi sembravan «tutti giovani e belli», avrebbe cantato Guccini. Ma da allora la locomotiva renziana a Siena ha deragliato spesso e volentieri.

Tanti renziani si sono aggiunti, approfittando delle sponde offerte dal primo nucleo originario. E ora la foto dei quattro sindaci appare più una beffa per quanti ci avevano creduto, che il documento storico di una rivoluzione che resta solo annunciata. Perché ogni processo rivoluzionario che non produca alcun effetto innovativo e frantumi il nucleo originario, non può che definirsi fallito nei suoi intenti nobili.

Poi, per carità Valentini è sindaco, Mancuso è vice, Scaramelli è consigliere regionale; Dallai parlamentare e Guicciardini segretario. Tutti renziani. Ma si guardano in cagnesco, però, nè più nè meno come fecero Monaci e Ceccuzzi, prima sodali e poi nemici acerrimi, fino al commissariamento e anche ben oltre. E farebbe un errore, Scaramelli, a pensare che le sue 15mila e passa preferenze siano la certificazione di una «rivoluzione-renziana» compiuta. A Siena è tutto da cominciare, come ben può notare Scaramelli stesso, dalla sintonia che c’è nelle parole di Parrini-Guicciardini-Valentini.

Il renziano Valentini è diventato sindaco, ma come racconta David Allegranti in “Siena brucia”, Renzi non apprezza affatto Valentini, a cominciare dall’sms sulla Fondazione Mps. La portata rivoluzionaria della proposta di Valentini è stata definita in modo netto proprio da Roberto Bozzi, senz’altro l’esponente dei quattro sindaci della foto del 2012, più legato alla città, conoscitore dei suoi meccanismi e dei suoi bisogni. E invece messo da parte perchè forse poco incline a inchini e trasversalismi. Ebbene Bozzi, ha scritto che quelli guidati da Valentini sono stati «due anni persi». Spanu, invece, è diventato tesoriere del partito, il ruolo più delicato e di piena fiducia della segreteria provinciale.

Francesca Bianchi
Francesca Bianchi

Ecco, in mezzo a tutto questo, tra il successo personale e politico di Scaramelli con le oltre 15mila preferenze e la reazione anti-scaramelliana del sindaco Valentini – che sembrano nuove rappresentazioni delle eterne faide del Pd senese – emergono più che altro le parole coraggiose di una che il Pd lo ha lasciato, Francesca Bianchi. Dimettendosi dal partito e dal ruolo di presidente dell’assemblea regionale, ha scritto tra l’altro: «In questo Pd si va avanti per appartenenza e fedeltà e non per meriti». Che era la medesima accusa che i giovani leoni facevano ai vecchi capipopolo.

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