giglePasso a prenderlo in Vespa, la mia. «Monta» gli dico spavaldo tentando di nascondere un po’ di soggezione. Devo portare in sella Giglé, e già questo mi sembra un buon motivo di vanto per me e di preoccupazione per lui. Non esita un secondo. Dalla mia parte c’è che il viaggio è ben più corto di quello che lui ha scelto di intraprendere. Destinazione il primo bar alla portata. Poche centinaia di metri, un tavolo a pieno sole, una birra nella mia mano e un sanbitter e montenegro nella sua. Così ci ritroviamo a parlare dell’impresa che si appresta a compiere: da Siena e Capo Nord in Vespa e in solitaria. 4500 chilometri in 20 giorni.

La mia prima domanda è scontata: «Cosa ti spinge a farlo?». La sua risposta è immediata e molto meno banale: «Non cerco niente, è una sfida. Serve per stare vivi». Così iniziamo a parlare dei dettagli, delle mete, delle preoccupazioni, poche a dire il vero, dei ricordi, degli stimoli, degli amici dell’Avis e degli Hotwheels, degli affetti…del viaggio e della vita, detto in poche parole. Eh già, viaggio e vita. Come il primo sia linfa della seconda. Come la seconda sia vuota senza il primo. Come l’uno sia metafora dell’altra. Come la vita, in buona sostanza, sia un viaggio, anzi il viaggio.

«Il senso di questo non è possibile spiegarlo» mi dice Giglè specificando: «c’è solo chi sa riconoscerlo e chi no». Beh, mi pare ovvio che lui sia in quella stretta cerchia di persone che ne abbia compreso il significato facendone sua la più profonda essenza senza chiedersene il motivo ma con la necessità di dissetarsene. Quella stessa sete di avventura e di mettersi in gioco che lo spingerà nel primo chilometro alla stregua di quella che spinge un bambino al primo passo. E anche questa è nuovamente vita, viaggio e vita che s’intrecciano. E’ questo il motivo, forse, per cui Giglé non perderà tempo nei selfie o nelle foto. I ricordi e i pensieri, quelli veri, profumeranno di miscela e avranno il rumore inconfondibile della Vespa ma gli rimbalzeranno sotto il casco per rimanere impressi per sempre nella testa.

«Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole». Ebbe a scrivere tale Charles Baudelaire ne I fiori del male. Giglè partirà proprio nella notte dei desideri, il 10 agosto, ma non è tipo da perdere tempo dietro alle stelle cadenti. «Quando anche in casa, la sera dopocena, o mia moglie o i miei figli prendono in mano computer e cellulari io preferisco scendere in garage» mi racconta Giglè. Ma io lo so che in cuor suo anche lui è un sognatore. La dimostrazione all’ultimo sorso della mia birra e del suo sanbitter e Montenegro. «Che farai una volta alla meta?» Gli chiedo. «Piangerò, urlerò, chi può saperlo? Nessuno comanda le emozioni» mi risponde con gli occhi e il desiderio già verso Capo Nord, già verso una nuova impresa.

Buon Viaggio Giglé

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