Foto sito istituto Lama Tzong Khapa

Tappa in Toscana per Richard Gere che domenica ha fatto visita all’istituto buddista Lama Tzong Khapa di Pomaia (Pisa). L’attore americano era in compagnia del figlio 17enne. A dare la notizia l’ìstituto sul suo sito e sui suoi canali social.

L’impegno di Gere per il Tibet Gere ha trascorso alcune ore insieme ai vertici e subito dopo pranzo è tornato in Maremma dove soggiornerà per alcuni giorni di vacanza. L’attore, spiega una nota diffusa dall’istituto, «di fede buddhista e grande sostenitore del Dalai Lama, ha supportato diverse campagne a favore dell’indipendenza del Tibet: prima di visitare il Centro e portare i suoi saluti a chi stava partecipando alle attività, ha pranzato con Ghesce Tenzin Tenphel, maestro residente dell’Istituto, il figlio Homer, con Paola Maugeri, giornalista, cantante e conduttrice televisiva che si trova in istituto per un ritiro, e con il direttore Michele Cernuto».

L’esperienza sulla Open Arms Gere ha anche parlato, prosegue la nota, «della sua ultima esperienza con l’ong Open Arms, quando nei giorni scorsi è salito a bordo della nave Ocean Viking, insieme a chef Rubio, alias Gabriele Rubini e Fabrizio Pallotti traduttore dell’Istituto Lama Tzong Khapa, ferma da giorni al largo di Lampedusa con a bordo i migranti tratti in salvo nelle ultime settimane e a cui ha portato solidarietà e viveri (pagati di tasca sua)». «Sono rifugiati che hanno bisogno di aiuto – ha raccontato Gere -. Hanno tutti toccato il mio cuore in tantissimi modi. Centoventuno persone… credo di aver parlato con quasi tutti. Hanno storie incredibili, vengono da un inferno vero e proprio, soprattutto quelle che arrivano dalla Libia. Tutte le donne sono state stuprate, non una volta ma ripetutamente – ha detto – La Libia è sotto il controllo di vari gruppi di milizie, per cui quando devono passare da una zona all’altra vengono violentate, gli uomini vengono torturati e messi in prigione. Non possiamo neppure immaginare quello che vive questa gente. Gia’ ero stato due o tre anni fa a Lampedusa a visitare gli hotspot, ho conosciuto di prima mano la situazione: si tratta di persone che hanno vissuto storie orribili, hanno sofferto moltissimo, li chiamano migranti ma sono rifugiati che hanno bisogno di aiuto».

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