ROMA – Mancata manutenzione e blocco della burocrazia. Nelle grandi dighe italiane quasi 6,5 miliardi di metri cubi di acqua, fondamentali per gestire i mesi più caldi dell’anno, non vengono sfruttati a causa di questi due motivi.

Lo rivela il Libro Bianco 2024 Valore Acqua per l’Italia di The European House – Ambrosetti che verrà presentato con i dati aggiornati sul servizio idrico integrato il 21 e 22 marzo in occasione della Giornata mondiale dell’acqua.

Secondo l’indagine I piccoli invasi in Italia sono 26.288 con la Toscana che ne ospita il 62%. Le dighe più vecchie sono in Liguria (92 anni di età), Valle d’Aosta (84) e Piemonte (82) mentre le più giovani sono nel Molise (35 anni di media), in Puglia (41 anni) e in Calabria (50 anni).

Per il rapporto i 532 grandi invasi italiani possono potenzialmente raccogliere ad oggi fino a 13,8 miliardi di metri cubi d’acqua, ai quali si aggiungono circa 800 milioni di metri cubi dai piccoli invasi, ma mediamente il 33% (4,3 miliardi di metri cubi) del loro volume si riduce a causa dei detriti che si accumulano nel fondale (interrimento) con punte fino al 48% nei territori del fiume Po.

In questo quadro, l’incertezza normativa circa le concessioni idroelettriche, negli ultimi anni, ha limitato gli investimenti degli operatori. Al mancato accumulo d’acqua per interrimento si sommano ulteriori 1,9 miliardi di metri cubi di capacità di raccolta già disponibili nell’attuale sistema infrastrutturale di dighe in Italia, ma mai autorizzati.

Dall’analisi emerge che Lombardia (77), Sardegna (59) e Sicilia (46) hanno il maggior numero di grandi dighe, con una capacità rispettivamente di 4, 2,5 e 1,1 miliardi di metri cubi, cioè oltre il 50% della capacità totale nazionale.

 

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