PISA – C’è un motivo preciso per cui il nostro cervello invecchia, e potrebbe essere legato a un blocco nella produzione di proteine.
Lo rivela uno studio internazionale guidato dalla Scuola Normale Superiore di Pisa, insieme all’Istituto Leibniz di Jena, all’Università di Stanford, e in collaborazione con altri istituti italiani. La ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista Science.
Al centro dello studio c’è un piccolo pesce africano, il Killifish turchese, che vive meno di un anno ma ha un cervello strutturato come quello degli esseri umani. Proprio per la sua breve vita, è diventato un modello ideale per osservare in tempi rapidi i processi dell’invecchiamento. A portarlo per la prima volta nei laboratori pisani, oltre vent’anni fa, è stato Alessandro Cellerino, professore di Fisiologia della Normale e tra i coordinatori dello studio.
Il punto chiave della scoperta è questo: quando il cervello invecchia, i “macchinari” che producono le proteine – i ribosomi – iniziano a bloccarsi. Invece di scorrere liberamente sull’RNA per tradurre il messaggio genetico in proteine, si fermano, producendo proteine “a metà” che non funzionano come dovrebbero. Anzi, spesso si accumulano nelle cellule, peggiorandone lo stato di salute.
E non si tratta di un blocco casuale: a essere colpite sono proprio le proteine fondamentali, come quelle che servono a costruire i ribosomi stessi o a gestire il DNA. In pratica, il sistema che produce le proteine si guasta e smette di riparare sé stesso, innescando un circolo vizioso che contribuisce al declino del cervello. Una scoperta simile era già emersa anche nello studio sul cervello umano pubblicato recentemente dall’Università di San Diego, a conferma che il fenomeno osservato nei pesci ha riscontri diretti anche sull’uomo.
“Ora abbiamo una pista concreta per capire cosa scatena il decadimento cognitivo legato all’età – spiega Cellerino – e il prossimo passo sarà testare se alcune sostanze, capaci di evitare il blocco dei ribosomi, possano rallentare l’invecchiamento del cervello. Se funzionasse, potremmo aprire la strada a nuove terapie per l’uomo”.
Alla ricerca ha partecipato anche Sara Bagnoli, assegnista alla Scuola Normale, recentemente premiata con il L’Oreal – UNESCO Donne nella Scienza proprio per i suoi studi sul Killifish. Il progetto è stato finanziato in parte con fondi del PNRR nell’ambito del programma “Tuscany Health Ecosystem”.