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ROMA – Il governo ha rinviato l’esame del decreto che ridefinisce i criteri per la classificazione dei comuni montani, dopo le forti proteste di Regioni e Anci. La decisione è arrivata nella Conferenza Unificata del 18 dicembre, dove enti locali e amministratori regionali hanno chiesto più tempo per un confronto approfondito.

Il provvedimento, attuativo della legge 131/2025 approvata a settembre, infatti, rischia di escludere oltre 1.200 comuni dalla qualifica di «montani», penalizzando soprattutto l’Appennino.

I nuovi criteri, basati principalmente su parametri altimetrici e di pendenza (almeno il 25% del territorio sopra i 600 metri con pendenza superiore al 20%, o altimetria media oltre i 500 metri, o interclusione da aree montane), ridurrebbero i comuni montani da circa 4.000 a 2.844. L’obiettivo del ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli è concentrare i 200 milioni annui del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane sulle «vere terre alte», escludendo realtà come Roma o Bologna.

Ma la proposta ha scatenato un’ondata di critiche. «È una riforma pensata per le Alpi e contro l’Appennino», ha attaccato l’assessore emiliano-romagnolo Davide Baruffi, sottolineando che in Emilia-Romagna i comuni montani passerebbero da 121 a 71 (-41%). Simili allarmi da Puglia, Toscana, Liguria e Sardegna, dove si teme un ulteriore colpo a territori già fragili per spopolamento, carenza di servizi e rischi idrogeologici.

L’Anci, con il vicepresidente Roberto Pella, ha chiesto il rinvio per «migliorare il testo e garantire risorse adeguate a comuni in condizioni di fragilità». Anche l’Uncem (Unione nazionale comuni ed enti montani) ha invitato a evitare «divisioni» tra Alpi e Appennino, criticando criteri «inutili e assurdi» che ignorano fattori socio-economici come perifericità e isolamento.

Il senatore Pd Silvio Franceschelli ha definito la norma un «taglio lineare arbitrario»: «Le aree montane sono già penalizzate da spopolamento e mancanza di servizi. Escluderle solo per altitudine significa abbandonare comunità con disagi reali. Serve un piano complessivo, con incentivi fiscali per imprese e professionisti che scelgono queste zone».

Il governo ha accolto la richiesta di rinvio, con Calderoli disponibile al dialogo. È già fissato un incontro con le Regioni per lunedì 22 dicembre (oggi). «Il rinvio è un primo risultato positivo, ma nel merito le distanze restano significative», ha commentato Baruffi.

Il dibattito evidenzia una frattura: da un lato l’esigenza di razionalizzare le risorse, dall’altro il rischio di amplificare disuguaglianze tra territori. In un’Italia dove la montagna copre il 40% del suolo ma soffre di emorragia demografica, la revisione dei criteri potrebbe decidere il futuro di migliaia di comunità. Ora la palla passa al tavolo di confronto: si troverà un compromesso che tuteli davvero le aree fragili?

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