emiliano-speranza-rossi«È stato alzato un muro, sia nel metodo che nella forma. Per noi la strada è un’altra. Sono maturi i tempi per formare una nuova area. Ci sono stati milioni di cittadini che hanno abbandonato questo Pd». Così il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi sul dibattito all’assemblea nazionale Pd. «Abbiamo posto lo stesso problema che milioni di cittadini pongono e che avvertono il PD come un partito non più di sinistra. Abbiamo provato ad avanzare alcune idee,invece è stato alzato un muro e non abbiamo avuto nessuna risposta di merito ne’ di metodo». È di fatto questa la scissione, annunciata, che guida il governatore toscano, con Michele Emiliano e Roberto Speranza, contro il Pd di Matteo Renzi.

La scissione del Pd Si sono dati un limite ultimo, Michele Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza. Ancora 24 ore per appurare se Matteo Renzi è disposto a fare «una mossa politica vera» per scongiurare la scissione. Se così non sarà, ma dopo la direzione nazionale nulla fa presagire il contrario, si tireranno fuori dal percorso congressuale. E quello sarà il segnale: via all’uscita dai gruppi parlamentari e alla costituente di un nuovo partito della sinistra. Ormai, osservano i bersaniani, è solo una formalità: in assemblea non è arrivato da Renzi nessun segnale, neanche uno spiraglio di apertura. E pure Emiliano – il più restio a lasciare, il più disposto a fare un passo indietro per un accordo – è pessimista e in una nota congiunta con Speranza e Rossi punta il dito contro Renzi: la scissione la vuole lui. I tre provano a stare uniti.

Anche Bersani con Rossi Nel primo pomeriggio Pier Luigi Bersani era andato via dall’assemblea Pd, dopo aver rilasciato un’intervista tv: «Non usciamo dalla sala con le bandiere rosse in mano, non sono scelte che si affrontano a cuor leggero», si rammarica. «Il segretario ha alzato un muro, vuol fare un congresso cotto e mangiato in tre mesi dove non sarà possibile discutere. Ma aspettiamo la sua replica», dice.

gent-renziLa posizione di Renzi L’epilogo dell’assemblea del Pd per Matteo Renzi era già scritto. «Avevano già deciso di uscire», dicono a fine giornata i renziani, soddisfatti per come il leader abbia tolto durante l’assemblea «ogni alibi» alla minoranza e dimostrato a tutti, anche nella maggioranza, di avere le redini del partito. Ma, più che indugiare nella nostalgia, Renzi guarda già avanti, convinto che non ci sia più tempo da perdere: a questo punto, senza la minoranza, il congresso può chiudersi con le primarie il 9 aprile per buttarsi poi, con una nuova legittimazione, nella campagna per le amministrative. La strategia dell’assemblea, raccontano i fedelissimi, era stata costruita con attenzione: un discorso, quello di Renzi, netto senza essere offensivo, una copertura “a sinistra” con interventi dal palco di esponenti ex comunisti, come l’ex sindacalista Cgil Teresa Bellanova e Piero Fassino per dimostrare che il Pd, anche senza la minoranza, non diventa un monocolore ex Dc. Di “inclusione” anche l’appello di Walter Veltroni. Adesso però sembra aprirsi un nuovo capitolo nella storia del Pd. Anche senza la minoranza, il congresso si farà comunque. Si guarda alle mosse di Andrea Orlando che nel suo intervento ha  tentato un’ultima mediazione attaccando i “tifosi” di entrambi i fronti. E tra i renziani si scommette anche sulla candidatura di Cesare Damiano, che nel suo intervento ha detto che non si iscrive «al monocolore di Renzi» ma darà «battaglia aperta, dialettica» dentro il Pd.  Il leader dem ha già in mente la sua cavalcata che comincerà da dove è cominciata la storia del Pd: al Lingotto di Torino il 10 e 11 marzo. Poi una campagna in giro per l’Italia per dimostrare, sono certi i fedelissimi, che sui territori la scissione è limitata. Anche perché, avvertono, «in vista delle amministrative siamo noi gli unici a poter dare il simbolo a chi si vuole candidare», chi esce dal partito dovrà correre sotto altre insegne. Ma su un tema Renzi avrebbe dato garanzie a tutte le componenti del partito: la finestra di giugno per le elezioni politiche resta comunque esclusa. I tempi ci sarebbero pure ma, spiegano dalla maggioranza, al netto della necessità di mettere mano alla riforma elettorale, ancora in alto mare in Parlamento, l’ex premier, fresco di conferma alla guida del Pd, non ha fretta. Settembre, invece, resta una possibilità ma, dicono ai vertici del Pd, è ancora presto per decidere.

Il dopo-scissione A Enrico Rossi e compagni spetta adesso anche il compito di ricompattare il fronte anti-Renzi Se scissione sarà, la minoranza spera di convincere in extremis anche Gianni Cuperlo, che però sembra piu’ propenso a restare nel Pd. Di sicuro non lo lasceranno Cesare Damiano e Andrea Orlando. Verso un nuovo soggetto della sinistra si incamminerebbero da subito Bersani e Massimo D’Alema, oltre a una decina di senatori e una ventina di deputati (ma potrebbero essere di più) già pronti a fare gruppi parlamentari autonomi. Il percorso immaginato dai bersaniani è una costituente di stampo ulivista in cui coinvolgere anche Giuliano Pisapia e gli ex di Sel, oltre che alla Sinistra italiana di Fratoianni e Vendola. L’ex Sel Scotto già apre: «Adesso serve un nuovo inizio. Una sinistra popolare e di governo».

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