Il teatro Mascagni di Chiusi ha ospitato il terzo e ultimo incontro dell’inchiesta pubblica voluta dalla Regione Toscana, sul progetto di impianto di carbonizzatore idrotermale nel territorio del comune di Chiusi, in località Le Biffe. Un investimento complessivo nell’area che Acea Ambiente srl stima in 25 milioni di euro. Dopo l’incontro di lunedì 9 dicembre ne seguirà un altro in cui la commissione di inchiesta presenterà la propria relazione alla Regione Toscana, ente preposto a rilasciare l’autorizzazione alla costruzione dell’impianto. I tecnici di Acea e di Ingelia Italia, la società realizzatrice dell’impianto, hanno replicato alle osservazioni tecniche e dei comitati contrari alla realizzazione, A.RI.A. e Il Riccio. Durante l’ultimo incontro erano presenti in teatro circa 150 persone e il confronto è iniziato con la lettura di una breve relazione fatta pervenire da Giovanni Vivarelli, direttore di area industriale Acea ambiente che ha ribadito la volontà dell’azienda di tenere aperto il dialogo con i cittadini di Chiusi, dicendosi dispiaciuto per il clima di tensione creatosi: “la situazione che si è creata non è dipesa dalla poca trasparenza che ci viene addebitata – ha scritto Vivarelli – Siamo stati chiari fin dalle prime fasi di presentazione del progetto”. Acea ha intenzione di andare avanti nonostante il clima di contrarietà, Vivarelli si è detto convinto che “i fatti dimostreranno che le nostre sono gestioni improntate al massimo rigore con elevati standard di qualità impiantistica e di tutela del territorio circostante”.

Le questioni tecniche affrontate hanno riguardato il controllo dei fanghi in entrata che per Ingelia sono un “Rifiuto non pericoloso”, tant’è che fino al 2016 era in uso la pratica dello spandimento quale fertilizzante in agricoltura. Tra le regioni capofila a fermare questo tipo di pratica fu proprio la Toscana, dietro alla quale poi si sono accodate quasi tutte le regioni italiane. Acea ha chiarito che i fanghi in entrata dovranno rispettare 126 parametri indicati dagli enti preposti al controllo ambientale e sanitario. Un controllo che – secondo i tecnici di parte dei comitati – “sarà poco efficace perché avverrà solo una volta in fase di accredito del conferitore”. Relativamente alla questione posta del traffico in entrata e uscita dall’impianto dei mezzi pesanti, Acea ha confermato di aver stimato una media di 7,3 mezzi al giorno da 30 tonnellate per il conferimento dei fanghi ed altri 3,7 mezzi tra materia prima necessaria alla lavorazione e materiale di risulta quali sabbia e fertilizzanti.

Tra gli interventi anche quello di Riccardo Gori, professore associato e ricercatore presso l’Università degli studi di Firenze, dipartimento di ingegneria civile e ambientale, chiamato in causa da Acea per i suoi studi sul processo di carbonizzazione dei fanghi. Gori ha specificato che “il processo di carbonizzazione ha bisogno di ulteriori approfondimenti”, ma ciò non vuole dire che “non sia applicabile”.

Poi è stata trattata la questione dell’inquinamento da nichel. La norma impedisce di edificare su terreni inquinati, qualunque tipo di impianto. I terreni dell’ex centro carni negli anni passati sono stati al centro di dibattito perché erano stati rinvenuti livelli eccessivi di nichel in una delle due falde acquifere che l’attraversano. Dato che però, allo stato attuale, non verrebbe confermato, in quanto il superamento dei livelli riguarderebbero un solo punto specifico dell’area e non sarebbe mai costante.

Nella riunione del 30 novembre aveva tenuto banco inoltre la questione dei camini. Secondo i comitati nel rendering del progetto presentato “non venivano riportati punti di emissione”. Punto successivamente chiarito dalla documentazione presentata: ci sarebbero 3 comignoli alti massimo 1,40 m per una larghezza di 0,65 cm. Sul punto i tecnici dei comitati hanno continuato a contestare il fatto che, a loro parere, “il progetto offrirebbe un’analisi diffusionale (le emissioni) sbagliata del 60% circa”.

Per finire la questione della variante urbanistica. Il sindaco di Chiusi Juri Bettollini ha sostenuto che potrà impedire l’impianto forte della variante generale al piano operativo adottata a dicembre 2018, dove è esplicitato che nell’area non possono essere edificate strutture malsane. Tale variante risponde all’atto di indirizzo politico votato dal consiglio comunale nel giugno del 2018. Secondo Romano Romanini, attivista del comitato A.RI.A., la traslitterazione puntuale dell’indirizzo politico nel documento tecnico urbanistico di fatto renderebbe inefficace il documento tecnico stesso, “per la genericità dei termini utilizzati”. La variante di cui si parla comunque non è stata ancora approvata, a breve andrà in consiglio comunale, quindi può essere ancora modificata con l’introduzione di specifici parametri di dettaglio riguardo la tipologia di inquinamento che si vuole impedire.  Nonostante questo comunque il Comune si potrebbe ritrovare nella situazione di non essere il fulcro del livello decisionale autorizzativo. Ciò in quanto il procedimento unico autorizzativo viene deliberato dalla Regione attraverso la Conferenza dei servizi. Qualora questa emettesse parere favorevole, anche nel caso in cui il comune fosse in disaccordo, la Regione potrebbe comunque rilasciare il procedimento unico autorizzativo. La questione rifiuti è infatti un tema particolare dove le regioni hanno poteri straordinari. Ai sensi dell’art. 208 del Testo unico ambientale l’approvazione del progetto da parte della Regione costituirebbe di per se variante urbanistica. Per tale motivo i comitati contrari al carbonizzatore chiedono all’amministrazione comunale di Chiusi di dettagliare con parametri tecnici la variante generale al piano operativo adottata a dicembre 2018, in quanto al verificarsi di una controversia interpretativa riguardo i livelli amministrativi competenti, la posizione del Comune riguardo la destinazione dell’area possa essere chiara e definitiva.

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