Il segreto è durato ben poco. C’era da prevedere che la secretazione decisa fosse vanificata in breve. Ed ecco pubblicata e da tutti consultabile la sfilza dei primi 107 grandi debitori di Mps, debitori di cifre superiori ai 25 milioni, o per irrimediabili sofferenze o per probabili inadempimenti.

Alcune delle principali situazioni erano già note, a partire dalla Sorgenia costruita da De Benedetti e ora ristrutturata. Anche dopo una veloce scorsa, si constata che l’elenco registra brutalmente, su scala nazionale, dissesti o difficoltà proprie di una fase fragile dell’avventuroso capitalismo italiano. Chi pensava di dimostrare che la gestione del credito della banca senese fosse stata compromessa dalle clientele di una banca rossa (o rosa) è rimasto deluso e dovrà ammettere che siamo in presenza di una fotografia sfocata, spiacevole e multicolore di un’economia insana, alla ricerca ovunque di risicate scommesse e consuete speculazioni. Nell’insieme la cifra che dall’elenco vien fuori, bloccata al 30 settembre scorso, si aggira sui 5 miliardi e rappresenta il 12,7 % del totale dell’abnorme massa dei crediti accordati e andati in malora. Letti in controluce i nomi raccontano vicende note, talune scontate, altre curiose, alcune bizzarre. L’amarezza che si prova non è alleggerita dalla diversità dei casi e dei pesi. Notevole è lo schieramento di disgraziate società pubbliche tra le quali risaltano Atac e Alitalia, la Riscossione Sicilia Spa o, assai più sotto, l’Immobiliare Novoli. Quando alcune società si barcamenavano in male acque la banca assumeva il doppio ruolo di partecipante e creditrice, come con la Sansedoni spa o con Siena Biotech (in liquidazione) o con la Valorizzazione Immobiliare spa. Non si contano, poi, gli armatori e gli interporti come quello campano: resta un mistero capire perché sia stata così estesa l’attenzione offerta ad un settore così distante dagli interessi del territorio principale di riferimento. Si direbbe che gli italiani siano un popolo di navigatori. Non mancano, s’intende, nominativi che fanno emergere un legame stretto, talvolta di complicità, con sospettabili trafficanti.

Non continuiamo a spulciare la lista nera. Conviene a questo punto chiedersi che cosa ha messo in luce finora l’andamento delle audizioni  svolte e quale potrebbe essere l’utilità di un lavoro dai più non a torto visto con profondo scetticismo. In effetti la commissione presieduta da Casini ha fatto toccare con mano disfunzioni di sistema che vanno eliminate. Perché non hanno saputo arginare disastri tutt’altro che imprevedibili. Se dalle voci della Procura senese, ad esempio, si è teso a circoscrivere le colpe della crisi di Mps ai vertici della banca e a ristrette aree della sua tecnocrazia, da chi indaga dal fronte giudiziario milanese si è indicata la necessità di allargare lo sguardo, e sono stati chiamati in causa i meccanismi vigenti dei controlli e il comportamento della stessa vigilanza.

La non brillante condizione di Antonveneta era nota. Affidabili informazioni non ufficializzate circolavano abbondanti. Eppure si arrivò nel marzo 2008 a dare disco verde all’acquisizione con sorprendente e diplomatica leggerezza. Tra Consob e Bankitalia l’armonia dei pareri non è apparsa affatto piena e unidirezionale. Il rapporto con le sedi europee, e soprattutto con la Direzione concorrenza, fu intempestivo e inadeguato. Da questo punto di vista risulta chiaro che l’Unione bancaria europea e gli organismi di cui si avvale hanno bisogno di essere rivisitati. In Italia processi in corso accerteranno da un’ottica penale se e come, da chi, si siano occultate carte essenziali per capire la salute del Monte e la verità del suo bilancio. La commissione bicamerale dovrà soffermarsi sugli aspetti di sistema e dare indicazioni per riforme indispensabili non più soltanto a scala nazionale. C’è chi punta a usare spezzoni dell’inchiesta per mettere sotto accusa Mario Draghi. Altri enfatizzano il ruolo del Pd e del centrosinistra in vista delle prossime elezioni. Sarebbe un’occasione sprecata forzare le questioni sul tavolo in termini effimeri e propagandistici e far deragliare la commissione dai fini per i quali è stata istituita. Che sono quelli di suggerire i metodi da seguire per selezionare un ceto dirigente alla testa delle banche realmente autonomo e di dar vita a modalità davvero trasparenti di un monitoraggio che renda comprensibile ed evidenti le dinamiche del mercato finanziario, restituendo fiducia ai risparmiatori ed eliminando occulti raggiri. Occorre erogare sostegni garantiti a soggetti che li meritino. È un errore attribuire genericamente alla politica i guasti imputabili a strategie personali o a spregiudicate lobbies. Semmai è urgente richiamare chi incarna ruoli di rappresentanza politica in sede istituzionale e quanti sono impegnati in partiti o movimenti ad un autentico rispetto delle sfere proprie di una società basata sulla distinzione degli ambiti di operatività: non idolatrando la neutralità della tecnica né consentendo alla politica di concretizzarsi in fazioso arbitrio e inappellabile arroganza.

Pubblicato su “Corriere Imprese Toscana”, supplemento del “Corriere della sera” il 27 novembre 2017.

Articolo precedenteCuore toscano. Gonfalone d’argento a inventore della “Grotta del vento Garfagnana”, «Potenziale non sfruttato appieno»
Articolo successivoNo fusione. Prima studio di fattibilità ora documento ad hoc. Comitato minaccia la Corte dei Conti