Disparità di trattamento economico, turni di lavoro estenuanti e alloggi fatiscenti. A tutto questo erano obbligati 40 lavoratori di una azienda contoterzista per servizi in agricoltura con sede legale a Castel del Piano (Grosseto).  Tre gli arrestati, due fratelli di 34 e 42 anni, più il caposquadra 28 anni, tutti di nazionalità curda, accusati di intermediazione illecita (il reato che identifica il caporalato) e sfruttamento del lavoro nelle campagne del Chianti. L’inchiesta, coordinata dal Procuratore di Siena, Salvatore Vitello e dal Sostituto Nicola Marini, è stata affidata ai Carabinieri della Compagnia di Poggibonsi (Siena) e al Nucleo ispettorato del lavoro di Siena.

Maltrattamenti e alloggi fatiscenti Gli operai stranieri venivano accompagnati con furgoni nei luoghi di lavoro ed erano costretti a sostenere faticose attività agricole. Nelle indagini sono stati trovati due appartamenti-dormitorio a Castellina in Chianti e Vagliagli (Siena) e appunti e agende personali degli stessi stranieri in cui si confermano che gli stessi venivano retribuiti solo per parte delle ore di lavoro realmente effettuate. Sono inoltre emersi episodi di maltrattamento e comportamenti vessatori ai quali i lavoratori erano stati sottoposti e ai quali avevano dovuto assoggettarsi, pur di conseguire una retribuzione. Le vittime di tali vessazioni erano altresì costrette a trattenute sullo stipendio, quale corrispettivo dell’acquisto degli strumenti di lavoro che utilizzavano. Indagata anche la società che procacciava i lavoratori sottoposta, per ordine della magistratura, a controllo giudiziario da parte di un commissario.

Al vaglio la posizione delle aziende Ora al vaglio degli inquirenti ci sono le posizioni di numerosissime aziende agricole che, nelle province di Siena e Grosseto, hanno usufruito dei servizi offerti dalla società cui facevano riferimento i tre curdi arrestati. Si tratta di un’azienda contoterzista che aveva raggiunto un fatturato di oltre 5,8 milioni di euro annui e che proponeva alle aziende servizi a prezzi dimezzati rispetto alla concorrenza. Nel solo 2016, dagli accertamenti, sarebbero emersi 1.345 impieghi, incarichi, per complessive 96.000 giornate di lavoro, relativi a lavori agricoli di vario tipo che le sono stati commissionati da fattorie e aziende agricole.

Compensi diversi in base alle etnie Le indagini hanno permesso di accertare che le paghe non erano uguali per tutti i lavoratori. I compensi pari a 6,5 euro l’ora, (quindi ben al di sotto di quanto previsto dal contratto nazionale di lavoro dell’agricoltura che prevede un compenso pari a 9,78 euro l’ora) non erano uguali per tutti. Più alti per i lavoratori curdi, più bassi per gli operai di altre etnie. In busta paga, inoltre, sarebbero state pagate un numero inferiore di ore rispetto a quelle realmente lavorate (fino a 12 ore al giorno). Inoltre, secondo la versione pressoché concorde di tutti i lavoratori ascoltati, la ditta non corrispondeva loro le maggiorazioni previste per il lavoro straordinario e festivo, né il trattamento di fine rapporto alla scadenza dei contratti, peraltro tutti stipulati a tempo determinato.

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