2019-handCome istituire un sano rapporto tra il patrimonio culturale di una città e le invasive nuove tecnologie informatiche? Come innovare senza distruggere? La questione è tra le principali affrontate nel fantasioso «Bid Book» che contiene le linee progettuali della (sfumata) candidatura di Siena a Capitale europea della cultura per il 2019. E per una regione quale la Toscana ha un impatto generale.

Verso un Patrimonio 3.0 L’obiettivo di fondo è individuato nel passaggio ad una terza fase, nella quale il mecenatismo pubblico non sia chiamato a svolgere un ruolo totalizzante, né i beni artistici siano considerati fonti di immediato reddito industriale, ma si caratterizzi piuttosto per una prospettiva – etichettata Patrimonio 3.0 – che unisca produttori e “consumatori”. La distinzione tra inventare e fruire si sfuma, poiché chi fruisce del patrimonio è in realtà colui che lo riproduce, in un circuito virtuoso di consapevole rispecchiamento e libera creatività. Sulle schematiche periodizzazioni, molto amate dagli economisti, c’è sempre molto da discutere. In sé la stretta, quasi ossessiva, relazione tra eredità accumulata e sua operosa reinterpretazione non è un fenomeno dei nostri giorni, né per Siena né per altre città segnate da un’eccezionale densità di opere d’arte. Una cattedrale è stata – ed è – da quando fu eretta un cantiere aperto: ha evidenziato valori e attratto attenzioni, ha sprigionato effetti sensibili nella spiritualità e nell’economia, nella formazione del gusto e nel rinsaldare un orgoglioso senso di appartenenza comunitaria.

Dopo la sconfitta è il momento del dibattito Stando al dossier predisposto sotto l’abile regia del direttore di candidatura Pier Luigi Sacco è indispensabile far nascere un atteggiamento da «prosumer»: uno dei tanti neologismi – o quasi – di cui è infarcito un testo di non agevole lettura. «Prosumer» è parola composta, che combina il «pro» di «producer» con il «sumer» di «consumer» o di altri termini affini, puntando a fondere attività/imprenditorialità/ creatività con studio, uso, rielaborazione dei dati. Ecco apparire quella ormai mitizzata «intelligenza connettiva» che le reti telematiche alimentano e la rivoluzione digitale rende disponibile a un pubblico senza confini. Così il patrimonio, da lascito inerte da tramandare si trasforma in risorsa dalla quale attingere con estro o da immettere in coinvolgenti performances. Il catalogo è lungo e ingegnoso, ironico, bizzarro. Ma suscita anche dubbi non banali. Si ha l’impressione di uno squilibrio che accordi ai “mirabilia” del digitale e al dominio delle tecnologie le ricette del riscatto, le chances di un facile sviluppo. Con il risultato, talvolta, di articolare in maliziose trovate o in effimere occasioni ludiche anche gli ambiti progettuali più ambiziosi, primi, tra tutti e dodici,  quelli del welfare culturale. Esemplificarlo in una «Cultural Emergengy Room» che prescriva ricette a base di libri ed eccitanti itinerari è persuasivo? E si potrebbero citare pagine curiose, dove si abbozzano numeri di «Still dancing», momenti di «Social gardening», o si descrivono eventi – parolaccia abusata e insignificante – incentrati sull’apparizione di oggetti enigmatici o di orchestre issate su piattaforme galleggianti sul Campo. Il complesso di sofisticati progetti del Book messo su con un lavoro entusiasta e pieno di serissime proposte non va relegato in un cassetto. È però da prosciugare risolutamente, portando in primo piano priorità solide e assai materiali, fisiche: edifici da riconvertire, servizi da impiantare, luoghi da attrezzare. La committenza deve organizzare il dibattito che finora è mancato.

Siena come laboratorio della Toscana e dell’Europa Si tratta di fare di Siena, malgrado la sconfitta, un laboratorio che parli all’Europa e alla Toscana e sia in grado di favorire esperienze durevoli, scambi tra persone, dialoghi tra diversità, imprese. Per opporsi ad un uso strumentale o decorativo del patrimonio e renderlo socialmente fecondo, fattore di una cittadinanza che accomuni in esperienze cosmopolite residenti e visitatori, docenti e allievi, imprenditori e creativi, le tecnologie più o meno nuove sono mezzi da governare con distacco, non fini cui tutto piegare per ossequio ad una falsa e illusoria modernità. E anche l’effimero in dosi misurate della spettacolarizzazione funziona se invita o accompagna. Non se sostituisce o divaga.

 

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