Perché Bersani è venuto a Siena? O meglio, perché è passato da Siena? Alla vigilia del ballottaggio per le primarie del Pd, i miei dubbi su una parte del centrosinistra rimangono. Le parole che l’attuale segretario dei democratici ha detto nell’Aula Magna dell’Università per Stranieri di Siena potevano essere proferite a Palermo come a Belluno, a Cagliari come a Pescara. Ok, c’è stato un incontro con i sindacati e i lavoratori delle aziende in crisi del senese. Ma quanto è stato voluto da Bersani quest’incontro che, nella sola Toscana, ha tenuto comizi a Siena, Empoli e Livorno? Oppure è stato organizzato ad hoc dalle sigle sindacali? I dubbi rimangono, specie perché i sindacati dovrebbero essere organizzazioni quanto più “apartitiche” e, quella di ieri, sarebbe a tutti gli effetti un'importante presa di posizione. Pierluigi Bersani ieri non aveva tempo. Ha dribblato i giornalisti presenti non rispondendo alle loro domande su Siena e Monte dei Paschi (non il principale ma comunque tra i cavalli di battaglia di Renzi). Io ero tra i “rimbalzati”. E questo non mi è piaciuto. Bersani ha parlato di lavoro, di credibilità italiana all’estero. Ha aperto alla patrimoniale e lì ha riscosso il mio applauso. Su Siena però ha taciuto. Allora perché venire a Siena? Quale è il messaggio politico che c’è dietro? Visto che qualsiasi riferimento alla situazione senese è mancato, ai suoi problemi economici ed amministrativi, la sua fugace apparizione nella Città del Palio assomiglia molto ad una risposta di soccorso al disperato SOS lanciato dai bersaniani locali, ancora scossi dall’eccezionale successo riscosso da Renzi e dai renziani – che domani puntano a superare il 60% -, ma anche alle prese con un netto e marcato calo in termini di consensi. «Le regole non si cambiano a metà partita», ha detto Bersai parlando delle modalità di voto del ballottaggio. E con questa mossa direi che potrebbe aver chiuso la partita con Renzi visto che al segretario arriveranno anche i voti acquisiti dei vendoliani. Anche a Siena. Ignorare però il successo, l’interesse e la partecipazione che la candidatura del sindaco di Firenze ha portato in queste primarie, e più in generale nel dibattito politico italiano, sarebbe un altro grave errore. «A Siena sapete bene che una parte del gruppo dirigente deve andare a casa», disse Renzi quando chiuse la sua campagna elettorale al PalaEstra. Bersani non darà sicuramente una poltrona romana a Renzi dopo la sua ascesa elettorale, ma dovrà far frutto di quanto detto dal sindaco fiorentino: l’autorevolezza e la rispettabilità per l’Italia di domani passano necessariamente da processi di cambiamento e trasformazione. Anche profonda se necessario. Sennò saremo di fronte, ancora una volta, alla politica delle ideologie e non delle idee. Italiani, toscani, senesi, tutti hanno già dato prova di voler voltare questa pagina.

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