Lui abitava al piano nobile vicino a suoi pari. Bell’aspetto nonostante l’età; anzi, proprio dagli anni gli derivavano fascino, autorevolezza, garbo e disponibilità a rapportarsi con il mondo circostante. Lui era un libro. La sua dimora il privilegiato palchetto di una libreria dove risiedeva tra altri simili che qualcuno aveva collocato alla giusta altezza perché interlocutori privilegiati, consiglieri e confidenti. Da là partecipava ad una quotidianità domestica di cui conosceva ogni cadenza. Aveva visto le diverse stagioni di persone, affetti, cose – conviventi e complici – domandandosi spesso se fossero state loro ad avere scritto le sue pagine o se, grazie a lui, quelle stesse persone e cose avevano potuto trovare, di volta in volta, parole, pensieri, ragioni; persino gli spazi bianchi che necessitano tra un capitolo e l’altro…, della vita in tal caso.
Le stanze poi erano divenute sempre più silenziose, abitate soprattutto da assenze, da un ispessito rimpianto. Vi era rimasto solo l’uomo che di libri le aveva stipate. Non si poteva certo dire che quei libri venissero trascurati, oggetto com’erano di carezzevoli riletture, rinnovati incontri dove il tempo portava saggezze e acclarati convincimenti. Ma le premure crescevano con il pacato tormento che prelude gli addii. Se ne accorsero per primi i volumi che del sentimento umano meglio raccontano il groviglio e che erano tornati ad essere sfogliati da dita – come ebbe a dire uno di essi versato nella musica – simili ad arpeggio di tonalità minore. I libri avevano già capito tutto. L’uomo, infatti, prese definitivo congedo in un’alba feriale, ovvia ad ogni pertugio che andava accendendo. Nella casa seguirono giorni alterni di silenzio e di forsennato tramestio, finché anche la biblioteca – ingombrante quanto irrisa eredità – fu svenduta e dispersa.
Dopo il comprensibile spaesamento, a lui (il libro che per una vita aveva abitato al piano nobile vicino a suoi pari) non andò poi male. Si ritrovò tra le mani di un ragazzo dai gesti e dall’intelligenza svegli. Il libro, ormai rassegnato a un’esistenza di riuso, portava scritto in costola Don Chisciotte della Mancia. Determinante per la sua consolazione fu la sera che vide il ragazzo indugiare meravigliato sulle parole introduttive di Borges che dicono: “Chiuso il libro, il testo continua a crescere e a ramificarsi nella coscienza del lettore. Quest’altra vita è la vera vita del libro”. Così anche il libro del piano nobile etc. etc., poté comprendere appieno il senso di quella sua seconda vita.

Articolo precedenteMilo Manara. Stanze del desiderio
Articolo successivoManara, maestro di eros a Siena