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FIRENZE – Aveva cercato di rifarsi una vita a Firenze, lavorando come bidello in una scuola superiore.

Ma il passato ha bussato di nuovo alla porta di un 39enne originario di Petralia Sottana (Palermo), coinvolto nell’operazione antimafia “Montagna” che nel 2018 aveva smantellato le famiglie mafiose dell’Agrigentino con decine di arresti.

La vicenda giudiziaria
Il 39enne, secondo quanto riportato da La Nazione, era stato accusato di favoreggiamento aggravato: secondo gli inquirenti, avrebbe fatto da intermediario tra due figure di spicco di Cosa Nostra – il boss della famiglia mafiosa Cammarata, Calogerino Giambrone, e S. Maranto, reggente del mandamento di San Mauro Castelverde – aiutandoli a eludere le indagini, cedendo utenze telefoniche e veicolando messaggi criptici. All’epoca dei fatti, nel 2015, lavorava come dipendente dell’Asl locale e fu arrestato, trascorrendo alcuni mesi in carcere prima di trasferirsi a Firenze, dove aveva raggiunto la famiglia.

Il processo, sviluppatosi in tre gradi di giudizio, ha visto la conferma dell’aggravante mafiosa: la Corte d’Appello di Palermo lo aveva condannato a tre anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, sentenza poi resa definitiva dalla Cassazione il 5 luglio 2023.

Il licenziamento e il ricorso respinto
Tredici giorni dopo il deposito della sentenza, l’ufficio territoriale di Firenze del Ministero dell’Istruzione ha notificato al 39enne il licenziamento disciplinare. Assistito dagli avvocati Cinzia Scotto e Pietro Ghinassi, l’uomo ha presentato ricorso nel febbraio 2024, ma la sezione lavoro del Tribunale di Firenze lo ha rigettato. Secondo la giudice Silvia Fraccalvieri, le condotte accertate – confermate dallo stesso imputato in un interrogatorio del 2018 – sono risultate incompatibili con il ruolo e i valori del settore scolastico, che deve tutelare l’educazione e la formazione degli studenti.

Non sono bastati i documenti presentati dalla difesa, che attestavano l’accesso alla semilibertà e l’affidamento in prova ai servizi sociali. L’uomo, che si è consegnato in carcere dopo la sentenza definitiva, è stato anche condannato al pagamento delle spese processuali.

Il ruolo nell’operazione “Montagna”
Dalle carte dell’inchiesta emerge che il 39enne, consapevole della caratura mafiosa di Giambrone e Maranto, avrebbe facilitato i loro contatti e incontri, contribuendo così a proteggere le attività criminali delle famiglie coinvolte nell’operazione “Montagna”. L’indagine, coordinata dalla Dda di Palermo, aveva portato a 56 arresti e alla disarticolazione delle principali cosche dell’area.

La Cassazione, nel rendere definitiva la condanna, ha sottolineato la gravità e la reiterazione delle condotte, definendo la pena “blanda” rispetto alla copertura offerta a uomini d’onore di primo piano, che hanno così potuto portare avanti le proprie trame delittuose.

Il caso conferma come le ramificazioni di Cosa Nostra possano estendersi ben oltre i confini siciliani, e come il passato, soprattutto quando legato alla criminalità organizzata, possa riemergere anche dopo anni, segnando in modo indelebile la vita dei protagonisti.

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