TORRE DEL LAGO – C’è una rara possibilità domani sera (25 luglio) a Torre del Lago, al festival Puccini: ascoltare il soprano Anna Pirozzi nel ruolo di Turandot, per la prima di stagione dell’opera, ripresa nell’allestimento di Alfonso Signorini che, proprio con l’Incompiuta, qui debuttò nel 2017 nella regia d’opera.
L’occasione è davvero da non perdere visto che il soprano italiano rappresenterà nel 2026 Puccini e la principessa di gelo nei più importanti teatri del mondo, in occasione del centenario dell’opera.
Proprio così. Anna Pirozzi sarà Turandot alla Scala il 25 aprile del 2026, a cento anni esatti dal debutto dell’opera postuma di Puccini. Gli appunti sul finale (36 fogli di musica) rimasti sul comodino della clinica di Bruxelles, dove i 7 chiodi radioattivi avrebbero dovuto curare il cancro alla gola del Maestro lucchese e dove, invece, lo sorprese la morte, a tradimento. Anna Pirozzi, quindi, sarà la principessa di gelo per tutti: alla Scala – diretta dal Maestro versiliese Nicola Luisotti, scelto per non far rimpiangere la bacchetta di Arturo Toscanini. Gli era già successo a New York, nel 2010: anche il Metropolitan aveva voluto Luisotti sul podio, al posto di Toscanini, per celebrare il centenario de La Fanciulla del West. Come il Net reclama, dopo la Scala, l’italiana Pirozzi per la Turandot delle celebrazioni. Un orgoglio per il soprano che rappresenterà l’opera anche a Londra, Parigi e (forse) pure a Torre del Lago. Dove anche quest’anno sono tornate star internazionali, molti artisti e artiste italiane. Perché -ricorda Anna Pirozzi – le voci italiane sono belle bellissime. Perciò dovrebbero lavorare di più nei teatri italiani. Con i grandi direttori italiani, quelli che lei stessa preferisce.
Signora Pirozzi, il mondo l’ha conosciuta grazie a Verdi, ma ora diventa testimonial di Puccini.
“Il mio personaggio è, in effetti, Abigaille, del Nabucco che ho interpretato in tutto il mondo. Invece Turandot è arrivata qualche anno fa, perché ho voluto aspettare di cantare questo ruolo, in quanto si dice che il ruolo sia micidiale, molto difficile, occorre una voce molto matura e una tecnica ben salda. Quindi ho aspettato un po’, ma da quando ho iniziato a cantarlo, non ho smesso più perché tutti mi chiedono di cantare Turandot e soprattutto l’anno prossimo, che sarà il centenario di Turandot, la canterò in tutto il mondo. E questo mi fa onore e piacere”.
In quali teatri è stata chiamata a cantare Turandot, per il centenario dell’opera?
“Inizio con la Scala, a Milano; subito dopo corro a New York, al Metropolitan. Poi sarò Turandot a Londra, alla Royal Opera house (il Covent Garden) e quindi a Parigi. Ma abbiamo avviato un discorso anche per tornare a Torre del Lago, proprio nell’anno del centenario”.
Visti questi ingaggi si potrebbe azzardare che lei oggi sia considerata la migliore Turandot al mondo. Un primato notevole, soprattutto per un soprano considerato una voce prevalentemente verdiana.
“Non posso essere io a dirlo, semmai lo dirà chi verrà ad ascoltarmi. Ma il fatto di sostenere questo ruolo in questi illustri teatrini lusinga molto. Quindi come italiana rappresenterò Puccini e la Turandot in tutto il mondo: questo non può che onorarmi molto.
Quanto a essere un soprano verdiano, rispondo citando il grande soprano Renata Scotto: “Non esistono voci verdiane, esistono voci che possono cantare verdi. E per cantare verdi ci vogliono determinate qualità”. Si parla di qualità tecniche perché Verdi richiede il “legato”, l’accento, le agilità, la dolcezza. C’è tutto dentro, perché Verdi lo ha scritto. Perciò, se sei capace a cantare Verdi, allora sei una voce verdiana; sennò canti altro – Mozart, Rossini, Bellini – molto bello e con altre difficoltà, ma Verdi è il più completo”.
Che cosa rappresenta per lei Turandot, come simbolo, come personaggio? Spesso lei ha sottolineato come oggi ai cantanti d’opera sia richiesta una prova di recitazione che non ha nulla da invidiare agli attori di professione. Quanto è difficile tradurre il personaggio Turandot per il pubblico?
“A livello psicologico Turandot è una donna statuaria, granitica. Anzi, come dice anche l’opera: di ghiaccio, di gelo. Quindi a livello attoriale non richiede un grande sforzo: la potenza della principessa, sta tutto nello sguardo. E nell’interpretazione vocale. Quindi si devono trasmettere le emozioni di Turandot solo con le espressioni facciali o con pochi gesti ieratici, glaciali. Questo ruolo è molto più facile, a mio avviso, dal punto di vista recitativo che vocale, perché la scrittura è veramente difficile. Puccini ha voluto questo tipo di scrittura per rappresentare il carattere della Principessa di gelo, questo suo mettere uno scudo davanti a sé, per creare una barriera fra sé e questi nobili pretendenti che vorrebbero conoscerla e sposarla. É uno scudo di gelo che Puccini rende con questi salti mostruosi per arrivare agli acuti”.
Lei non lascia intravedere le difficoltà tecniche di questo ruolo, che dice di aver affrontato dopo alcuni anni di carriera, con la voce già matura. In realtà debutta come Turandot piuttosto rapidamente, considerando il suo percorso tutto al di fuori dell’ordinario per i tempi della lirica: iscrizione “da grande” al conservatorio, a 25 anni; debutto al Regio di Torino a 36 anni, nel Nabucco di Verdi, come Abigaille, forse il suo ruolo prediletto. Come c’è riuscita?
“É corretto. Prima di conoscere la lirica, non sapevo niente di musica lirica, di opera. Ero una cantante pop, ma a livello amatoriale. Io avevo un lavoro ordinario, facevo l’assistente domiciliare nelle case di riposo e, come hobby, cantavo nei pianobar o ai matrimoni. Tutti, però, mi dicevano: “Ma che bella voce che hai”, “Perché non vai a studiare in conservatorio?”. Ma io rispondevo: “Non ne so niente di lirica, di opera. Non mi interessa neanche”. Non conoscevo neppure quel genere.
Poi, comunque, mi convinsi perché volevo imparare a leggere la musica, perché anche un cantante pop deve conoscere la musica. E mi iscrissi e il maestro di allora mi chiese se avessi già cantato lirica. Risposi sinceramente: “No, mai”. E lui osservò: “Allora hai una predisposizione naturale al canto lirico”. Poi ha iniziato a raccontarmi la trama delle opere, a farmi ascoltare i grandi della lirica – la Callas, Domingo, Del Monaco – e ho avuto un colpo di fulmine per l’opera. Così eccomi qua”.
Di Puccini lei ha già debuttato molti ruoli importanti, oltre a Turandot: Manon Lescaut, Tosca, Suor Angelica, Giorgetta ne Il Tabarro. C’è un ruolo che le piacerebbe poter interpretare?
“Di Puccini ho cantato tutto quello che è adatto alla mia vocalità, però ce n’è una che nessuno mi fa cantare per il mio percorso canore: a me piacerebbe cantare una bella Mimì, una bella Bohème. Di Verdi, invece, per motivi di salute il mese scorso ho perso l’opportunità di cantare I lombardi alla prima crociata e, poi, mi piacerebbe molto cantare anche l’opera “I Vespri siciliani”, ma forse arrivata a questo punto della mia carriera se ancora mi si addice”.
Lei vanta una carriera internazionale incredibile, malgrado il debutto “tardivo”, a 36 anni. Come c’è riuscita? Chi ha creduto in lei?
“Sì, debutto a 36 anni al Regio di Torino, ma poi non mi sono più fermata. E comunque anche arrivare a Torino è stato molto difficile: al Regio ho fatto tre audizioni prima che mi prendessero. Il direttore artistico dell’epoca non era sicuro, il sovrintendente aveva qualche dubbio; il direttore musicale alla fine ha sentenziato: “Prendiamola. Questa è una voce”. In effetti, però, erano dubbiosi. Io non avevo un curriculum, non avevo una carriera”.
Oggi che è un’artista nota in tutto il mondo ha assunto una posizione anche coraggiosa: ha detto che non si piegherà mai a cambiare il suo fisico solo per esigenze di regia, per motivi estetici. Né che accetterà mai letture assurde di regia.
“In alcune situazioni ho saputo di non essere gradita al regista per il mio fisico e, senza andare allo scontro, ho rinunciato al ruolo prima di qualunque discussione. Per me, del resto, è più importante la voce del fisico.
Già siamo sempre in lotta con i registi troppo moderni che vanno a sconvolgere il libretto dell’opera e non seguono la filologia della trama. Ecco questo per noi italiani è molto fastidioso e, a volte, dobbiamo scontrarci per far tornare questi registi sui loro passi. Per questo sì dobbiamo lottare: noi italiani che portiamo l’opera in tutto il mondo dobbiamo contrastare le regie che sconvolgono il libretto”.
Parla di una difesa della tradizione dell’opera?
“Non parlo di tradizione in senso stretto: l’allestimento può essere anche moderno, ma il regista deve seguire la storia, non deve uscire fuori dalla trama, raccontando fesserie che nessuno ha scritto. Moderno sì, ma con intelligenza”.
Che cosa desidererebbe in questo momento per l’Opera, visto che è stata dichiarata Patrimonio immateriale dell’Umanità?
“A me piacerebbe cantare un 7 dicembre alla Scala, poter aprire, almeno una volta nella mia carriera, la stagione a Milano. Esprimo questo desiderio perché da italiana, amo cantare in Italia e nei teatri italiani. Purtroppo, sono sempre in cartellone all’estero perché, come si sa, nemo profeta in patria, nessuno è profeta a casa propria. Vorrei quindi lanciare un appello: viva l’Italia e viva i teatri italiani, con la speranza che vengano valorizzate di più le voci italiane in Italia”.