Cos’è la destra cos’è la sinistra? Cantava Giorgio Gaber qualche anno fa. Di fronte a quel che sta accadendo nel mondo e in Europa viene ancora di chiederselo e rimanere senza risposta. Il fenomeno del trumpismo che prende voti popolari, Le Pen in Francia che raccoglie consensi nelle fasce deboli, così come da anni in Italia ci eravamo accorti che persino gli operai votavano Berlusconi mentre i quartieri snob di Roma sono democratici. Di fronte a quale mutazione genetica siamo di fronte? Intanto, in Francia sale alla presidenza della Repubblica un uomo, Emmanuel Macron, senza partito. Come farà a governare un Paese, come raccoglierà consenso oltre le elezioni? E’ possibile una “democrazia senza partiti”, senza organizzazione e riferimenti ideali? Un tema posto nel 1949 da Adriano Olivetti e oggi di nuovo attuale per Lorenzo Brenci, uomo di sinistra, consigliere comunale per il Pd dal 2006 al 2012, di fronte al bivio in cui si troverà Siena tra qualche tempo. Può la città continuare ad essere amminsitrata da sinistra? Con questi o quali altri partiti? E quale ruolo potranno avere le esperienze civiche? Le domande anche in questo caso sono nel vento, per ora. (M.T.).

Raccolgo volentieri lo stimolo proveniente dall’amico Michele Taddei che ha lanciato la rubrica “SièSiena” che ha già ospitato, e ospiterà, liberi contributi di senesi interessati a vario titolo alle vicende della nostra città, politiche e non solo.

Mi soffermo su tre questioni: se il Pd ha effettivamente subìto una mutazione genetica; se c’è uno spazio per una sinistra nuova oltre il Pd; che riflessi può avere tutto ciò su una realtà locale come quella di Siena.

La mutazione genetica del Pd, come va di moda chiamarla ora, non mi pare compiuta, semmai è in atto. Alla nascita di questo partito, una parte consistente degli elettori e del gruppo dirigente provenivano dai Ds, cioè da un partito della sinistra tradizionale, erede diretto di Pds e Pci. E’ chiaro che per vari motivi (troppo lungo indagarli qui) non è più così. Ciò nonostante il Pd mantiene un forte radicamento a sinistra, come uomini e come idealità. Piuttosto si potrebbe dire che questi uomini e queste idealità non sono più egemoni nella cultura politica del Pd di oggi, tanto che una parte del vecchio gruppo dirigente ha preferito abbandonare il partito, i cosidetti scissionisti. Non è ancora dato sapere se a questa scissione di dirigenti corrisponda una scissione di popolo. Un lento e silenzioso abbandono di iscritti e elettori che non si riconoscono più nel Pd sembra in effetti in corso. Ma per sapere se ci sia un nuovo luogo/partito/movimento in grado di rappresentare chi si sente e si autodefinisce “di sinistra” oltre il Pd bisogna aspettare. Non pare riuscirci MDP e neppure SEL che per altro si è frazionata a sua volta. Giuliano Pisapia si propone come federatore, l’intuizione è giusta, ma non sarà un’operazione facile. Soprattutto se il segretario del Pd continuerà a dire “te sì e te no”, perchè rischia di condizionare un galassia ancora indistinta che deve darsi una forma e una sostanza politica propria. Definirsi da sola e non in funzione del rapporto con il Pd.

Lo spazio politico per una nuova sinistra però, e indubbiamente, esiste. E in politica di solito gli spazi vuoti vengono riempiti. Quindi si deve ripartire da qui. Da un campo politico lasciato vuoto, guardando anche a quella parte di elettorato che non partecipa più alle primarie del Pd e per il momento non sembra intenzionata a votare questo partito. Esiste perché è politicamente innaturale che la destra continui a raccogliere consensi fra le fasce più deboli e impaurite della popolazione, in Francia come in Italia. Fa male sapere, per esempio, che Marine Le Pen sia andata bene nelle cinture operaie delle città industriali. Per non parlare di Donald Trump. La sinistra deve tornare a ragionare di lavoro e uguaglianza, tutele e sicurezza sociale, anche oltre e a prescindere dall’Europa. Alla quale è giusto restare ancorati, ma non a tutti i costi, non a costo di lasciare indietro milioni di persone. Esiste, perché in questi anni di governi sempre sostenuti dal Pd (anche da chi ora ha optato per la scissione) le diseguaglianze sono aumentate, così la povertà, la mancanza di lavoro e le insicurezze.

Questo dibattito e questi ragionamenti possono avere corso anche nella nostra città che tra un anno andrà al voto per il rinnovo dell’amministrazione comunale?

Comprendo bene che non sia questo il punto principale, ma talvolta ragionare “in grande” può essere utile a individuare alcune priorità anche a livello locale e, soprattutto, a farsi riconoscere da un elettorato che rischia di trovarsi di fronte a una miriade di liste civiche che per loro natura tendono a essere trasversali e a mettere in secondo piano le appartenenze politiche. Questo non è per forza un male, soprattutto in una competizione comunale, ma in tempi come questi, di crisi e difficoltà, talvolta anche drammatiche, ritengo che limitarsi a “fare una lista civica” per raccogliere consensi non sia sufficiente. Come ritengo che servano risposte e chiavi di lettura “di sinistra” per interpretare una società che in pochi anni, anche a Siena, è profondamente cambiata.

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