Tempo lettura: 9 minuti

TORRE DEL LAGO – Canta, canta piccola Claudia. Voce sottile che trasforma qualsiasi parola in musica. I gatti, i piatti, le nuvole: ogni soggetto è un’ottima scusa per inventare canzoni.

Chissà se questa è l’eredità oltre la genetica di quel trisnonno taglialegna che incantava il paese di collina nel dopopranzo breve. Se c’è l’influenza del suono delle campane della chiesa di Bargecchia, nel paese del trisnonno, su in collina, alle spalle di Viareggio che attirò perfino Giacomo Puccini in cerca di “…quel tono squarciato, indistinto, confuso, inafferrabile del campanone di San Pietro che risponde ad un mi naturale” per la sua Tosca del 1900.

Sia quello che sia, quando a Torre del Lago, al festival Puccini, Claudia Belluomini appare sul palcoscenico, frivola Musetta de La Bohème, incanta. Giovane soprano versiliese, convinta di essere nata per i musical, si trova a immergersi in quelle opere che il nonno cantava per la famiglia al pranzo della domenica.

Senta Claudia lei oggi è un soprano apprezzato. Ma da bambina che cosa voleva diventare?

“Mi ricordo che ero piccola, avevo 6 anni, e tediavo tutti, cantando dalla mattina alla sera. In auto mi inventavo le canzoni, a casa mi inventavo le canzoni. Inventavo canzoni sui piatti, sulle bambole, sui cani, sui gatti, sulle nuvole. Mia mamma un giorno disse: “Questa canta sempre: portiamola a lezione”. All’inizio cominciai con le lezioni di pianoforte.

Da piccoli ci sono i librini per i bimbi che hanno la canzoncina che è suonata e cantata. E lì si è scoperto che avevo una bella voce, che ero intonata, perché io suonavo e cantavo quelle canzoncine. La mia maestra disse: “Ma dobbiamo farla cantare questa bimba”. Quindi un po’ imparavo pianoforte e un po’ cantavo. Poi, a mano a mano la mia vocazione mi ha portato verso il canto totalmente”.

Ma nella tua famiglia c’era qualcuno che avesse una predisposizione o almeno una passione per il canto? Come ti ritrovi a 6 anni, così piccola, un amore così forte per la musica?

“Secondo quando si narra nella mia famiglia da generazioni, si dice che il bisnonno della mia mamma, avesse una bella voce. Noi veniamo dalle colline alle spalle di Viareggio, abbiamo sempre vissuto a Bargecchia, una frazione del comune di Massarosa. Il bisnonno Francesco era un taglialegna e andava a tagliare la legna nel bosco, soprattutto dopo pranzo e le persone del paese, dopo pranzo, invece di andare a fare la pennichella, visto che lavoravano nei campi e si alzavano all’alba, andavano nel bosco ad ascoltare il bisnonno della mamma che cantava. La bellezza della sua voce era nota. Non credo che cantasse l’opera, ma attirava tutti ugualmente”.

Nessuno appassionato d’opera in casa, allora?

“Il mio nonno materno era molto appassionato di Puccini. Lo raccontavo anche pochi giorni fa durante una conversazione che abbiamo fatto su La Bohème.

La mia è una grande famiglia, molto legata, e ogni domenica facevamo il pranzo tutti insieme. Mio nonno veniva su a Bargecchia, insieme alla mia nonna e quando è rimasto vedovo ha continuato a venire anche da solo. A tavola beveva qualche bicchiere di vino, durante il pranzo, e poi partiva con tutte le opere di Puccini: io ho ancora dei video in cui cantiamo insieme”.

Da chi aveva preso la passione per l’opera suo nonno?

“Non saprei dirlo, perché non avevamo possibilità di andare a teatro o altro. Io non vengo da una famiglia benestante: i miei genitori, che mi hanno sempre appoggiata in tutto e che sono molto orgogliosi dei miei risultati, per permettermi di fare le lezioni di canto, hanno sostenuto non pochi sacrifici. Ad esempio, da piccola noi facevano la pasta e il pane in casa: tutto veniva fatto passare come un gioco, in realtà era un modo per mettere i soldini da parte perché io potessi prendere lezioni di canto”.

E con chi ha iniziato, già da bambina, a prendere le lezioni di canto?

“La mia prima maestra si chiamava Teresa. Lei dirigeva il coro dei bimbi a Corsanico, un’altra frazione sulle colline di Massarosa, appena sopra Bargecchia. A Corsanico, infatti, nella chiesa c’è un magnifico organo del Seicento.
All’inizio, quindi, io ho cantato un po’ lì, ma poi quando ho finito le scuole medie sono andata al liceo musicale sperimentale a Lucca e in quegli anni lì ho conosciuto un’altra brava insegnante, Nicoletta Fiori. E con lei ho continuato a cantare pop. Non ho mai cantato lirica da piccola o da adolescente”.

Lei, quindi, non si avvicina alla musica perché il nonno cantava Puccini?

“Niente affatto. Io per anni ho cantato solo pop music e poi mi sono innamorata del musical, il mio primo folle amore. Io adoro il musical, lo amo profondamente e quando mi sono diplomata alle superiori, i miei genitori mi dissero: “Guarda Claudia, se vuoi continuare a cantare, per noi va bene, ma non possiamo più aiutarti, perché ora diventa una faccenda seria. Se vuoi fare l’università vedi tu”. Ma c’era bisogno di intraprendere una strada che mi consentisse di avere un sostegno economico da parte dello Stato.

A quel punto, dissi che avrei continuato a cantare per hobby, perché per cantare – per studiare canto – ci vogliono davvero tanti soldi. E ci sono aiuti pubblici solo se fai il conservatorio. Ma per me all’inizio la lirica non era un’opzione. Io avevo conosciuto il pop, mi ero innamorata del musical: adoravo recitare, adoravo cantare. L’unica arte completa, per me, in quel momento era il musical. Mi piaceva tutto: mi piaceva guardare anche il ballo, facevano tip tap e mi piaceva pure quello”.

Che cosa succede, a quel punto?

“Uscita dalle superiori, inizio il servizio civile in un’associazione di volontariato (la Misericordia) della mia zona. In quell’anno esce un bando dell’Accademia “Bernstein school of musical theatre” di Bologna e ci provai. Scrissi alla direttrice, Shawna Farrell, e le precisai: “Vengo a fare l’audizione, se posso avere una borsa di studio. Altrimenti non mi posso permettere la scuola”. Lei mi rispose di andare. Era un sabato, e andai con la mia mamma a Bologna.

Fu una bella audizione e poi dissi di nuovo alla direttrice che avrei potuto frequentare solo se avessi avuto una borsa di studio. Il problema è che al primo anno, l’Accademia non aveva mai concesso la borsa di studio. Comunque, Shawna mi rispose che mi avrebbero fatto sapere. Uscita da lì, dopo dieci minuti, mi chiamarono e mi dissero che ci avrebbero pensato seriamente se darmi un sostegno. E mi chiesero se fossi veramente motivata a fare del musical la mia vita.

Dopo due giorni, il lunedì mattina mi chiamarono e mi dissero che mi avevano presa. Con la borsa di studio per tutti e tre gli anni. Guardai mia madre e glielo dissi. La sua risposta fu: “Vai, ti aiutiamo”.
Ancora oggi, quando ci penso, mi tornano i brividi”.

La sua carriera prende allora la strada del musical.

“Per me sono stati tre anni intensissimi. Mi ricordo che finita l’Accademia io non sapevo neppure che musica leggera ci fosse al di fuori della scuola, perché avevo vissuto di pane e musical.
Entravo la mattina alle 7,30 – riscaldamento e poi lezioni varie – e finivo anche all’una del mattino. Questo perché, terminate le lezioni, diventavo bibliotecaria per il coro e preparavo tutte le fotocopie necessarie agli allievi, costumista, scenografa, dipingevo le scenografie, facevo i costumi. Loro avevano creduto in me, mi passavano la borsa di studio annuale, per i tre anni, e in qualche modo sentivo di dover contribuire in altro modo, al di là dello studio accademico. Quindi mi impegnavo in tutte le attività dell’accademia. Dove, nel 2014, mi sono diplomata con il massimo dei voti”.

Già, ma poi c’era da trovare lavoro. E ancora di lirica non c’era niente all’orizzonte.

“No, niente lirica. Non ci pensavo proprio. Terminata l’accademia, però, ci fu un’audizione per la Compagnia della Rancia, la prima compagnia teatrale specializzata nella produzione di musical in Italia. Io avevo conosciuto il loro direttore artistico, Saverio Marconi, all’Accademia di Bologna: ci avevo lavorato durante l’ultimo anno.
Feci dunque l’audizione, alla quale partecipammo in 2500: appena due giorni dopo lui mi chiamò e mi disse “Ciao Claudia, sono Saverio”. Io ero sul letto, mi stavo per addormentare e mi svegliai di colpo. Il cuore batteva a mille. Mi disse che mi aveva presa per interpretare il ruolo di Angela in “Pinocchio” e per il ruolo di miss Lynch, l’insegnante, in “Grease”. E lì mi sono fatta il primo anno, bellissimo, di tournée con loro. Era il mio primo lavoro pagato. I miei genitori erano orgogliosissimi. Io ero emozionata.

Mi ricordo alla perfezione la mia prima volta al Teatro della Luna (oggi Re-power) ad Assago che era stato realizzato proprio per ospitare Pinocchio. Era un teatro tenda con la balena dentro; c’erano, e ci sono ancora tutti, i poster enormi dei personaggi del musical. Io continuavo a ripetermi: “É tutto vero, è tutto vero”. E lo è stato fino al 2018/2019 quando è arrivato il Covid. Io ero in tournée con un’altra compagnia. I teatri chiusero e mi trovai di fronte a un bivio: ora che faccio? Avevo già 27 anni”.

E che cosa ha fatto? Teatri chiusi a tempo imprecisato.

“Ripescai l’idea dell’università. Di nuovo pensai che forse non fosse più il momento di continuare con la musica. Ma il problema è che nella vita io non riesco a fare altro: la musica è la mia amante. Vivo di musica come chiunque fa questo mestiere. Ce l’ho nell’anima.
A un certo punto, parlando con la mia mamma su cosa volessi fare davvero, esce l’idea: mi iscrivo al conservatorio almeno mi ritrovo un titolo per insegnare”.

Neanche in quel momento le viene in mente di studiare canto lirico?

“La verità? No. Io l’opera non la potevo sentire. Presi in considerazione diverse possibilità: seguo il corso di jazz, ma poi scartai l’ipotesi. Per tutta la vita avevo studiato e cantato pop e non mi sembrava sensato buttarmi nel jazz. Così pensai: “Mi dedico a uno studio completamente nuovo: faccio lirica”. E come dice il detto: chi disprezza compra. Come ho iniziato a studiare lirica (due anni a Pavia con Alessandra Palomba, poi a La Spezia con Fulvia Bertoli e Antonio Giovannini), non riesco ad ascoltare altro. A volte i miei vicini, mi incrociano e mi dicono: “Ti abbiamo sentito, che brava che sei!”. Ma li devo deludere e rispondo: “Stamattina non ero io che cantavo. Stavo ascoltando una registrazione di Nadine Sierra o di Anna Netrebko”.

A parte questi equivoci, ovviamente tutto il vicinato partecipa alla mia carriera. Mi sostengono molto. É successo sia su in paese, a Bargecchia, e anche ora che sto al mare”.

Così da un amore all’altro il passo è stato più breve del previsto. Come avviene l’ingresso in conservatorio?

“Io mi presento alla prova di ammissione come mezzosoprano. A Milano avevo trovato un’insegnante molto brava che mi preparò: ma venendo io dal musical ero abituata a cantare di petto, con una tecnica diversa da quella richiesta dalla lirica. Quindi la mia voce poteva trarre in inganno in quel momento.

Comunque mi presentai con l’aria “Di tanti palpiti” dal Tancredi di Rossini. Alla fine mi dissero: “Noi ti prendiamo solo se studi da soprano”. Io risposi: “Voi siete gli insegnanti. Io mi metto nelle vostre mani. Se ritenete che per me sia meglio così, così facciamo”. E da lì ho iniziato a trovare la mia voce e il mio repertorio”.

Quale compositore la fa sentire più a suo agio, le pare più adatto alla sua vocalità?

“Io amo profondamente Mozart, perché insegna tanto. Al di là della bellezza della musica, è perfetto per “aggiustare” la voce. Sembra che la sua scrittura sia semplice, facile da affrontare. In realtà, per la voce ti fa giocare a carte scoperte: devi per forza ricorrere alla tecnica per venir fuori da determinati passaggi. Altrimenti non li superi.

Poi, sto studiando le regine Tudor delle opere di Donizetti (Anna Bolena, Maria Stuarda, Elisabetta del “Roberto Devereux”) e, in questi ultimi anni, ho studiato Puccini: Musetta (La Bohème) e Liù (Turandot)”.

Quale ruolo hai scelto per il tuo debutto in teatro?

“Il mio debutto in teatro è legato a Puccini e a Torre del Lago. Nel 2024, al Festival Puccini ho interpretato Kate Pinkerton, la moglie americana di Pinkerton, in Madama Butterfly. Il 7 agosto di quest’anno, sono stata Musetta ne La Bohème. Considero, però, più questo il mio vero debutto perché Musetta è un ruolo da co-protagonista.

Certo con il Conservatorio ho partecipato a Le nozze di Figaro, ho interpretato Berta a Savona ne Il barbiere di Siviglia: c’è l’emozione, certo, ma avverti sempre la protezione della scuola. Insomma sai che l’opera va avanti anche con te, ma non si basa su di te. Tu aiuti a realizzare questo grande spettacolo, ma ti senti più tranquilla. Quest’anno è stato diverso: in Bohème è vero che ci sono Mimì e Rodolfo come protagonisti, ma il secondo atto si regge su Musetta. E il suo ruolo, come quello di Marcello, è significativo. Come ho già detto, non avrei potuto desiderare un cast migliore, dei compagni di viaggio migliori, per il mio debutto. Si è creato un grande legame durante le prove, c’è molta stima fra di noi, molto rispetto e molto sostegno”.

Il pubblico ha recepito questo vostro legame. Ha seguito con emozione l’opera. Vi ha gridato complimenti e frasi sincere di apprezzamento. Vi sono arrivate?

“Ci sono state riferite dopo. Sul palco sei come in una bolla, anche se riesci a percepire il silenzio con cui ti ascolta. Capisci se è un silenzio pieno di pathos o di freddezza”.

Dopo questa Bohème quali impegni la aspettano?

“Iniziamo col dire che il mio sogno si è realizzato il 7 agosto a Torre del Lago, e anche l’anno scorso con il ruolo di Kate Pinkerton perché io sono molto legata al teatro di Torre del Lago. Adoro il fatto che sia a stretto contatto con il cielo: mio nonno che mi cantava Puccini non c’è più e guardare in alto mi dà la possibilità di chiedergli “Ci sei, mi vedi?”. Questo per me è fondamentale. Poi, non avendo neanche più mio papà, per me è stato molto forte avere questo contatto con il cielo. Mi basta alzare gli occhi e mi sento nascere una forza dentro che non neppure descrivere. Quindi, il mio grande sogno si è realizzato.
Se dovessi ora esprimere un altro desiderio, mi piacerebbe poter cantare la trilogia Mozart-Da Ponte: “Così fan tutte”, “Le nozze di Figaro”, “Don Giovanni”. Oppure una delle regine di Donizetti. Quindi se mi vogliono proporre uno di questi ruoli io dico di sì. In qualunque teatro, perché ogni teatro ha una propria storia e, dunque, una propria magia. Ma soprattutto perché, per me, il teatro è casa”.

 

Iscriviti al nuovo canale WhatsApp di agenziaimpress.it
CLICCA QUI

Per continuare a rimanere sempre aggiornato sui fatti della Toscana
Iscriviti al nostro canale e invita