Tra le nostre letture giovanili non sarà certo mancato Carlo Cassola. Scrittore poco amato dalla critica che su di lui pronunciò giudizi piuttosto caustici, arrivando a definirlo (come fece Giorgio Bassani) una sorta di “Liala”: narratore, quindi, per parrucchiere e casalinghe piccolo borghesi. Fu detto romanziere la cui poetica risulta chiusa, minimale e volutamente a-storica, poiché anche laddove le vicende narrate si intreccino con le vicende collettive (è il caso de La ragazza di Bube) a prevalere sono sempre i destini individuali, l’elegia, la memoria. Non a caso Manlio Cancogni coniò per l’amico Cassola l’espressione “poetica del subliminare”. Così come altri hanno parlato di “metafisica del quotidiano”, alludendo al fatto che i personaggi cassoliani (gente comune e insignificante) agiscono e parlano (con parole modeste) nei ristretti spazi che solo un amaro destino li consente. Se bagliori di felicità si manifestano sono, appunto, fugaci. Se la vita esce dalla routine è per misurare solitudine, dolore, sorde disperazioni.
In siffatte pagine, contrassegnate da una “elementarità feriale”, emerge l’insistito racconto della realtà di provincia tutta compresa in un raggio di pochi chilometri (appena più lungo dello sbadiglio di una levataccia) quotidianamente percorso da treni e corriere (un romanzo porta il titolo di Ferrovia locale), usurati anch’essi dalla ripetitività della vita, rassegnati ad un tragitto tanto rassicurante quanto immodificabile. E’ insomma – si passi l’espressione – il “sentimento” del pendolarismo. Quella esperienza, cioè, che a quanti viaggiano con i mezzi di trasporto pubblico fa fisicamente sperimentare la condivisione di un vissuto spicciolo, di una “ovvietà” giornaliera e perfino di una con/passione verso la propria e altrui esistenza. Treni e corriere, dunque, con il loro carico di umanità, di taciute afflizioni, di ironie, di confidenze. Un “viaggiar lento” (talvolta disagiato) che rivisita di continuo paesaggi, storia e storie, epoche e trasformazioni sociali; che costeggia case e domestici squallori.
Ebbene, per tornare alle voraci letture di gioventù, confesso che quel microcosmo descritto da Cassola, odoroso di binari e di postali, non fu estraneo alla mia educazione sentimentale. Fui invaghito di Mara, e la ricordo perfettamente – epilogo di una storia – con lo sguardo fisso oltre il finestrino, mentre il pullman attraversava una brumosa Val d’Elsa. Appresi così che torpedoni e vagoni ferroviari trasportano con apparente distacco anche le pene della vita.

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