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FIRENZE – Diciannove anni fa, il cardinale Camillo Ruini negò il funerale religioso a Pier Giorgio Welby.

Figura simbolo della battaglia per il diritto all’autodeterminazione nelle scelte di fine vita. Welby ottenne però ciò che oggi è pienamente accettato anche dalla Conferenza Episcopale Italiana (Cei): il distacco del respiratore sotto sedazione, una pratica oggi riconosciuta come sedazione palliativa terminale.

«Ora tutti parlano di cure palliative e quella di Welby fu una sedazione palliativa terminale. Lo slogan dei vescovi è lo stesso, però evidentemente nel confrontarsi con le situazioni concrete la loro posizione è cambiata», ha dichiarato Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, in un’intervista a La Stampa.

Cappato ha commentato anche le recenti parole del presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, che ha definito «pericolosissima e offensiva l’idea di avere il telecomando sulla vita». Secondo Cappato, quella espressa da Zuppi è una posizione tradizionale della Chiesa, che non è cambiata, ma «la legge in Italia è già molto diversa e questo lo riconoscono anche i vescovi».

Riguardo alla legge sul fine vita che sarà discussa in aula a luglio, Cappato ha sottolineato come «nessuno mette in discussione il punto di principio fondamentale stabilito dalla Corte Costituzionale, che in Italia ha già forza di legge, e cioè che una persona nelle condizioni di Dj Fabo può essere aiutata a morire». Ha inoltre criticato l’idea di escludere il Servizio sanitario nazionale dal processo, come proposto da alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, ricordando che «è stata la Corte costituzionale a stabilire la responsabilità del Servizio sanitario nazionale.

Quindi provare a farlo fuori, con l’obiettivo in realtà di far fuori le Regioni, mi sembra una strada spericolata» e ha ipotizzato che questa accelerazione normativa derivi dal timore che il ricorso contro la Regione Toscana possa essere infondato.

Il caso Welby, che nel 2006 suscitò un acceso dibattito pubblico e politico, rimane un punto di riferimento nel confronto italiano sulle questioni di fine vita. All’epoca, il cardinale Ruini motivò la decisione di negare i funerali religiosi sostenendo che Welby aveva espresso chiaramente la volontà di porre fine alla propria vita, una posizione incompatibile con la dottrina cattolica, e che concedere il funerale avrebbe significato ammettere il suicidio, considerato «intrinsecamente negativo» dalla Chiesa.

Oggi, a distanza di quasi due decenni, la riflessione e le pratiche della Chiesa sembrano aver subito un’evoluzione, pur mantenendo una linea di fondo coerente con la sua dottrina, come evidenziato da Cappato e dalla stessa Cei.

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