MARINA DI PIETRASANTA – Non fa sconti a nessuno Francesca Pascale. Neppure a sé stessa. La violenza psicologica – dice – lascia segni profondi. “Sei una donna, stai zitta”. “Lesbica”, “deviati”, “ma che ne vuoi sapere”: le parole che abbattono.
La società lo capisce prima e meglio della politica. Ospite, alcuni giorni fa al Caffè della Versiliana, a Marina di Pietrasanta lo dice con chiarezza: i palazzi della politica sono (ancora) troppo lontani dalla gente. Hanno paura ad approvare leggi sui diritti civili e umani, perché i partiti temono di perdere voti. Ma intanto gli italiani malati senza speranza vanno a morire con dignità in Svizzera, gli omosessuali vengono aggrediti e discriminati senza una legge che li tuteli.
La politica si è unita, tutta, senza distinzione per approvare la legge che istituisce il reato di femminicidio. “Ma è solo l’inizio”, ribadisce Francesca Pascale, il grillo parlante della destra. Da quando, compagna di Berlusconi, provò a traghettare la destra liberale verso il XXI secolo. Creando molti mal di pancia. E così si è trasformata in un’attivista che vive non di politica ma di un lavoro bellissimo: “Realizzare le case che gli altri sognano da sempre”.
Francesca, cosa intende per violenza? E le è mai capitato di sperimentarla?
“Parto dalla mia esperienza. Per me la violenza ha vari aspetti: quella brutale che ha bisogno delle mani, delle armi, dell’aggressione fisica; poi c’è un’altra violenza che è quella che ho subito io: quella verbale, quella sottile, vicino agli stereotipi. La violenza che tutti, per abitudine, liquidano con frasi del tipo “ma che sarà mai?”. Mi riferisco a espressioni del tipo: “lesbica”, “sei una donna, stai zitta”; “che cosa vuoi saperne tu?”; “perché ti intrometti?”; “a che titolo parli”? Nella mia vita ho sempre percepito che chi era più grande di me, occupava ruoli differenti o aggiuntivi rispetto ai miei, avesse bisogno di mettersi su un piedistallo e immaginarsi che tutti gli altri dovessero avere un permesso per esternare il proprio pensiero”.
In particolare si ricorda quando è stata vittima della violenza delle parole?
“Da molto giovane, dalle superiori. Direi anche da prima. Ho ricordi di violenza di questo tipo già all’interno delle mura domestiche. Mio padre è stato un despota. Da adulta posso dire che è stato un genitore che ha dato quello che ha potuto dare, però ricordo che da bambina mi sono sempre sentita dire da lui “stai zitta”, “perché parli”, “perché sei così”. Sempre il giudizio a prevalere su chi sei, su chi siamo. Metti oggi, metti domani, anno dopo anno quel modo di pensare da cui sei circondata diventa, quasi automaticamente, anche il tuo. E se non diventa il tuo, come nel mio caso, diventa un modo di pensare che in qualche modo ti condiziona. Fai una cosa e subito ti chiedi: “E ora gli altri che cosa penseranno di questo comportamento, di questa scelta?”. Anche se sono una che ha sempre rifiutato di dipendere dal pensiero degli altri, di far pesare il giudizio degli altri più del mio, però quelle paroline brutte, di svalutazione, ripetute giorno dopo giorno, come una goccia cinese, scavano una ferita. E con la ferita innescano un meccanismo di assuefazione alla denigrazione”.
Insomma, le parole cancellano l’autostima, ci indeboliscono?
“Direi che per me era diventata la normalità sentire frasi come “zitta e vai a lavare i piatti”; “zitta, non hai diritto di parlare”. Ero abituata a parole come “lesbica”, “deviati”, “confusi”. Quelle parole, seppur lontane dalla violenza fisica, sono state una violenza (quotidiana) nella mente, per il cuore e per l’anima. Infatti, l’ho incontrata nella mia famiglia, nella società, a scuola, con gli insegnanti”.
Con gli insegnanti?
“I docenti, spesso uomini, avevano un atteggiamento, se non vogliamo chiamarlo patriarcale, di prepotenza e di scadenza, dovuto soltanto al fatto di essere uomini, rispetto a me che parlavo, malgrado fossi una “femmina”, una ragazza. Io soffro davvero molto quando vedo un adulto che cerca di sminuire, condizionare anche castrare attraverso il proprio pensiero, i sogni delle ragazze, ma anche dei ragazzi. Quella prepotenza di dire “taci”, di ammonirli, mi causa una devastazione psicologica. Perché ammoniamo il pensiero dei giovani, se sminuiamo le idee dei giovani, ammoniamo, sminuiamo l’idea stessa di futuro. Questo è quello che ho percepito io fin da bambina. Anche se io sono persona privilegiata”.
Privilegiata perché?
“Non per la situazione che magari tutti immaginano: la relazione con Berlusconi e tutto quello che questo può aver comportato. Sono stata privilegiata come bambina perché, a fronte di un padre “despota”, ho avuto una madre e due sorelle che mi hanno molto molto amata. Probabilmente anche mio padre mi ha amata a modo suo, ma io non l’ho mai capito.
Avere delle persone che ti amano, che ti conducono per mano e vogliono il tuo bene è molto importante perché, indipendentemente dalla formazione culturale, dallo spessore sociale, il fatto di non sentirti sola, di avere un luogo sicuro, ti rafforza e ti dà coraggio nella vita”.
Pensa che per i giovani di oggi non sia così?
“Io sono del 1985 e godo di diritti civili acquisiti, per i quali non ho combattuto, ma ne conosco l’origine. So che ci sono arrivati, ho la consapevolezza che sono cambiate tante cose, grazie alla partecipazione delle persone che hanno voluto cambiarle, indipendentemente dall’appartenenza politica. Insomma, vivo dei diritti che molti giovani non sanno da dove arrivano. Ma non è loro la responsabilità, se nessuno dà loro gli strumenti per conoscere. Purtroppo, i nostri insegnanti sono sempre meno preparati. E, diciamolo, abbiamo politici ai quali della politica non importa nulla: per loro la politica è solo un circuito di potere.
Spesso, mi pare che alcuni temi – i diritti civili, i diritti delle donne, i diritti umani – si affrontino con l’ideologia e lo stereotipo. Questo o quel partito ne sposa la battaglia per una questione di immagine, non di credo. Per dire: io vado al Pride, così tutto l’elettorato omosessuale mi vota. È come se nel carrello della spesa politica si facesse l’elenco dei “prodotti” che non devono mancare. Spesso un partito si sente in dovere di comprarli, anche se non gli piacciono”.
Lei, poco fa, ha fatto riferimento a una figura importante per la sua vita, che per l’Italia ha rappresentato forse uno dei politici più controversi anche nel consenso popolare: amatissimo o disprezzato. Non ha nascosto che il rapporto con lui le abbia portato anche privilegi. Ma dal punto di vista della formazione e della battaglia dei diritti civili è stato un supporto o un ostacolo?
“Berlusconi è stato un incontro importante. Ha rappresentato tutte le figure maschili che mancavano nella mia vita, compresa quella dell’insegnante, del padre. Quando ho capito che nell’infanzia magari qualche cosa mi era stato tolto, ho capito anche che qualche cosa mi era stato dato. Francamente oggi, dico di aver avuto il privilegio non solo di essere stata una bambina amata da madre e sorelle, ma anche di aver incontrato un uomo che mi ha amato come avrei voluto che mi amasse mio padre. E anche come compagno, ma non è la qualità del rapporto che è in questione. Vorrei ribadire il concetto che quando hai persone accanto su cui fare affidamento, credi in te stessa. Crescendo, mi sono sempre sentita di avere qualche cosa in meno per tradizione familiare, culturale, sociale, scolastica: ho sempre avuto questo sentimento di “diminutio”. In realtà, oggi capisco che non è così. Anche se ho bruciato tappe, ho fatto scelte diverse magari da milioni di persone della mia generazione, poi ho seguito il mio istinto. Trovandomi accanto a un uomo come Berlusconi, cosa potevo fare di diverso per dare il mio contributo? Contribuire all’apertura politica di Forza Italia. Essere quella voce, come il grillo parlante, come quella goccia, quella noce nel sacco che non fa rumore, però è un numero, affinché quel tipo di destra diventasse la destra veramente liberale per aprire a un tema davvero ovvio e che appartiene a tutti: la battaglia per i diritti civili”.
Oggi come porta avanti questo impegno?
“Più da attivista che da politica, in senso stretto. Coltivo, comunque un sogno, forse presuntuoso, per la politica: immaginare che la politica all’unanimità, come ha fatto per la legge che ha istituito il reato di femminicidio e in qualche altra occasione, rispondesse ai temi dei diritti civili e dei diritti umani. Se ancora oggi su questi temi la politica si divide, vuol dire che stanno usando i diritti civili – entrambe le parti, destra e sinistra – come strumento per confondere la gente e non per parlare dei temi reali.
Anche nel suo ultimo intervento al Caffè della Versiliana, a Marina di Pietrasanta, ha ribadito con chiarezza questo concetto: i diritti civili, i diritti umani non hanno colore. Il contrasto alla discriminazione, alla violenza, ai crimini d’odio, all’omofobia non appartengono né alla destra né alla sinistra.
Ma da quando parla in questo modo, in Forza Italia c’è chi ha storto il naso e chi, invece, a sinistra ha cercato di “ingaggiarla”. Insomma, non hanno capito nulla. Proviamo a spiegarlo di nuovo?
“Proprio su questo insisto da anni e mi sembra di parlare a gente che non sente o che non vuole sentire. E credo di dire ovvietà.
Dal momento in cui ho iniziato a occuparmi di diritti civili – ed ero ancora la compagna di Berlusconi – ero vista come quella di “sinistra” in Forza Italia. E io, francamente, anche per la mia età, non ho mai avuto tessere del partito comunista né frequentato luoghi, manifestazioni organizzate o vicine al Pci. Il fatto di occuparmi di alcuni temi, per quel tipo di destra, mi faceva inquadrare come uno strumento di disordine. Per la sinistra è stato anche un modo per “tirarmi per la giacchetta”, per attirarmi in qualche modo dalla loro parte, ma anche per provare a scippare qualche cosa che apparteneva all’altra parte. Così avrebbero potuto dire: “Anche i vostri dicono che sbagliate sui diritti civili”.
La verità non sta da nessuna parte, se non nel mezzo, nel senso che spero che anche questa destra, partendo da Forza Italia (per me è una questione affettiva partire da qui) tratti di questi temi. Poi se è Giorgia Meloni o qualche altro partito di destra a iniziare va bene lo stesso.
Fino a oggi la sinistra è stata brava perché se ne è occupata, perché ha creduto nella battaglia per i diritti civili. Però, nello stesso tempo l’ha anche strumentalizzata: nel momento in cui al Pride vedo le bandiere di partito, penso che quella manifestazione per i diritti civili sia una riunione di coalizione. La Cgil la vedo sfilare al Pride con un carro bellissimo, però poi non la vedo più nelle fabbriche. O firma gli accordi per i salari a 5 euro lordi. Poi dall’altra parte, c’è la destra che ne fa strumento di questo eccesso della sinistra e si oppone categoricamente. E chi paga questa conseguenza è la società”.
Ora viene da chiederle, giocoforza, lei con chi sta: né con la destra né con il Pci, come direbbe il cantautore?
“Francamente io la Meloni non la voto perché ha una tradizione di destra che non mi appartiene, però non ci credo, nella maniera più assoluta (anche se le fa gioco per un certo elettorato) che sia omofoba. Giorgia Meloni, infatti, è figlia dei nostri tempi e spero che si liberi delle cariatidi, come tutti gli altri partiti, affinché possiamo aprire davvero gli argini verso i diritti umani e i diritti civili.
Quando parlo di diritti civili non parlo solo di sdoganare l’omosessualità, ormai la società è pronta ad accettare e a rendere legale il fine vita. Ma che ipocrisia è mandare le persone a morire in Svizzera? Ma che dramma nel dramma è? Perché i politici non riescono a capire che esiste un linguaggio della società che va oltre alle sensibilità di ciascuno. Comprendo che l’onorevole Maurizio Lupi (Noi moderati) affronti il tema del fine vita in modo serio, per quanto da ultracattolico. Ma almeno ha il coraggio di dire: affrontiamo la questione, limiamo quello che può portarci a eccessi. Io ho ricordi di lui in FI, anche se non ho rapporti diretti: ma lo cito per far vedere che quando la politica apre e va oltre i propri interessi ideologici ha successo perché si occupa degli altri”.
Sempre al Caffè della Versiliana, però, lei ha criticato la lungimiranza della politica. Ha detto che “la politica dei palazzi è molto distante da quello che è il tessuto sociale…Nella società vedo poca omofobia…Ne vedo tanta nei partiti”.
“É proprio così purtroppo. A parte alcune categorie come “Pro vita” o la ministra “Roccella” che sono vessate per questa ossessione per la tutela della vita (non ancora nata), anche a discapito della donna, credo che spesso le posizioni assunte siano dettate più da un calcolo elettorale che da reali convinzioni. La Meloni ha paura di perdere quel 3%, Salvini ha paura quel che rimane come percentuale; FI probabilmente ha paura di disturbare il Vaticano e così via. Ma all’elettorato non gliene frega nulla, nel senso che è già oltre sui temi dei diritti civili. L’omosessualità è un tema già “digerito”. L’elettorato vuole più sicurezza, più posti di lavoro, l’aumento delle pensioni: è più concreto. Vuole che sia migliorata la qualità della vita. L’Italia non è un Paese violento, ma ci sono gruppi violenti, omofobi. Ma se ci fosse una legge – e la Meloni potrebbe farla approvare la legge sull’omotransfobia, come ha fatto per il femminicidio – significherebbe già tanto. L’Italia che rifiuta e che punisce l’aggressione agli omosessuali, sarebbe già tanto. Poi il cambiamento culturale ha bisogno di tempi più lunghi. Ma mettere già dei tasselli sarebbe fondamentale. E il governo, come la politica tutta, potrebbe mettere da parte i propri stereotipi, le proprie ideologie per fare il bene della comunità. Ce lo ha dimostrato il Pride in Ungheria: Orban lo vieta, la gente marcia a migliaia, decine di migliaia perché vuole essere libera, non vuole discriminazioni”.
Vale anche per il contrasto alla violenza di genere?
“Con la legge sul femminicidio, approvata all’unanimità, la politica ha dato, finalmente, un bell’esempio. Però, non basta. Se mi crei il reato di femminicidio, in automatico, il giorno dopo o la settimana dopo mi devi equiparare lo stipendio delle donne a quello degli uomini. É lì che mi dimostri che vuoi creare una società libera, che premia merito, e abbatto la discriminazione reale e contrasti la violenza economica. Così portiamo davvero l’Italia in Europa, perché oggi non ci siamo”.
Perché oggi non siamo in Europa?
“Peggio: oggi non siamo Europa. In Italia non possiamo avere leggi sui diritti civili, la sanità, la scuola, il lavoro diversi dal resto d’Europa. Se l’Europa si regge sugli stessi principi fondamentali – il diritto alla vita, all’uguaglianza, alla non discriminazione e così via – non è concepibile che ogni Stato membro vada per contro proprio. Se funzionano meglio gli asili della Germania, in Italia voglio gli asili tedeschi; se funziona meglio un altro servizio di un altro Paese deve essere esteso a tutti gli altri. Non possiamo fondare l’Europa solo sulle bandiere e sulle parole, altrimenti è pura ipocrisia”.