Tutto è in crisi: economia, politica, democrazia, morale. Da ciò le crisi esistenziali dei singoli, delle famiglie (il questionario dell’ultimo censimento Istat pareva il bastone di un rabdomante disperato). E’ crisi perfino per i cani. I quali a forza di sentirsi definire amici dell’uomo se ne sono convinti ma si rendono conto che hanno scelto davvero il momento sbagliato per enfatizzare questo tipo di sodalizio; ora, caduti in depressione, esigono pure loro lo psicoterapeuta. Poi c’è la decadenza della lingua – scritta, parlata, balbettata – così che non sappiamo se la crisi possa essere ancora chiamata con l’abusata parola ‘crisi’. Proviamo, dunque, a partire da qui, da uno sfizio lessicale, da una parola (crisis in greco) nata per indicare un’azione molto concreta (la cernita del grano durante la trebbiatura) e che in progressive semantizzazioni ha raggiunto il significato più astratto e negativo di deterioramento, incrinatura, turbamento dello status quo; ma anche di evoluzione, di ‘passaggio’ da una situazione all’altra, guadagnando in quest’ultima accezione un barlume di ottimismo. E benedetta, allora, sia la crisi se servisse ad approdare a un cambiamento, soprattutto di mentalità. Perché il problema di fondo è culturale prima ancora che economico, è lì che è avvenuto il vero declassamento in mancanza di un rating (di un giudizio) espresso da quanti sarebbero stati nelle condizioni di esprimere valutazioni sul mondo che continuava ad emettere ‘obbligazioni’ pur sapendo di non poter onorare gli impegni presi con i ‘creditori’. Ecco la vera crisi: antropologica, valoriale, etica, di elaborazione di contenuti utili ad affrontare un passaggio epocale.
La stessa Europa – sedicente unita se non nel fesso tintinnio di una moneta – non ha coscienza culturale di sé e senza tale consapevolezza sarà difficile crearne una politica. Tempo fa leggemmo di un progetto che vedeva impegnate università e scuole per “un canone della letteratura europea” finalizzato, appunto, alla cognizione del comune patrimonio culturale. Iniziativa che avrà sollecitato il sarcasmo di qualche agente di borsa. Eppure è nel racconto e nell’interpretazione delle storie, delle emozioni, delle idee; nella critica ai fatti e addirittura nell’ironia sugli accadimenti che si costruisce la coscienza condivisa di una comunità, delle sue crisi e delle sue ragioni di senso (che è poi il senso della vita). Per affrontare passaggi – come quello presente – che evocano imprese bibliche, ancorché prive di miracoli.

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